LA LAMPADINA RACCONTI – Improbabile

IMPROBABILE

di Isabella Confortini Hall

 

Era estate, una giornata cocente. Ritornando a casa passai con mia sorella davanti al portone di un palazzo. Non so se lei abbia battuto di proposito un colpo contro il portone o per distrazione, o se fece soltanto l’atto col pugno e non abbia picchiato affatto.

 

No, no, e poi ancora no! Nessun senso, impersonale. Quale sorella? E quale portone? Ma che razza di incipit… niente da fare. Non può inventare di sana pianta. Ci deve essere una scintilla di realtà. Di nuovo un foglio accartocciato gettato nella carta da riciclare. Sindrome da pagina bianca.

snoopy-scrittoreE dato che invece nella vita tutto torna e si insegue in un gioco di specchi, eccolo quel colpo al portone, reale e tempestivo, giunto in tempo a levarla d’impaccio. Non si sarebbe dovuta dare per l’ennesima volta una scusa, una giustificazione per l’incapacità di vergare parole sul foglio bianco, intonso e impaziente. Parole che non atterravano mai, si limitavano a volarle nella mente rapide e inafferrabili, come i sogni del mattino presto. A occhi chiusi riusciva a fermarne qualche particolare, qualche fotogramma e poi più nulla.

Sollevata di potersi alzare da quella sedia di tortura per una ragione pregnante, Altea si affaccia alla finestra sovrastante il portone e guarda giù: non riconoscendo l’uomo alla porta gli grida di palesarsi e ne deriva che si tratta del cameriere dei Ghergo, Francesco e Lucia, che festeggiano qualcosa. Insomma è la consegna a mano di un invito, gesto di altri tempi e per questo ancor più gradito. Chissà perché, in quest’epoca di tastiere e wi-fi, la penna e l’inchiostro assumono un fascino che forse avevamo dimenticato. Sembra tutto più pensato e sentito se non lo leggi stampato in Times New Romans 12, seppur corsivo. Sembra anche più importante, e forse lo è.

In ogni caso l’appuntamento è fra tre sere, nello splendido giardino della loro villa palladiana sul lago di Garda. A spanne, saranno vent’anni che non ci vado, pensa. Ottima ragione per tornarci, oltre al fatto che adora le feste di mezza estate.

A ripensarci, anche l’ultima volta era d’estate, una sera incantata e irreale, popolata da giovani richiamati da tutto il nord Italia solo dal piacere di stare insieme. Ognuno portatore sano di bellezza e fascino diversi.

In tanti anni, molti, proprio gli insospettabili, avevano ceduto le armi alla vita, totalmente sopraffatti da mostri invisibili e inesistenti, creati dalla propria multiforme e fatale fantasia.

I più simpatici e intelligenti, con i quali si era instaurato un rapporto privilegiato, un’elettiva affinità, erano precipitati nel buio del loro Io profondo e convinti di ritrovare la via d’uscita con la luce brillante del loro intelletto, ne erano stati inopinatamente traditi.

Sempre più domande, assai meno risposte, e quelle poche, del tutto inesaurienti, fino all’obnubilamento totale.

Tra gli amici quasi ci si faceva riguardo a chiedere notizie, nemmeno si trattasse di un virus endemico. E così, di oblio in oblio, si perdevano le tracce di esistenze brillanti.

Come è ovvio, per la nota legge di compensazione universale, uomini e donne superficialmente bollati come poco interessanti si erano rivelati a dir poco stupefacenti quanto a eclettismo ed elasticità mentale. Ma qualcuno ha detto assai correttamente: “diventiamo ciò che siamo”, perciò, a ben vedere, nessuno tradisce le proprie aspettative, solo quelle degli altri.

La festa! Eravamo partiti dalla festa. Ma quale delle due, la passata o quella a venire? Sempre il solito problema delle digressioni. “Le amo molto – diceva il suo editore -ma sono una dentro l’altra come scatole cinesi. Tu costruisci villaggi interi popolati da matrioske intellettuali, fatte di ricordi, pensieri fantastici e aforismi. Alla fine ci si chiede sempre dove vuoi andare a parare. Sembra di leggere l’Ulysses.”

Lui non si era reso conto dell’incredibile riconoscimento che le aveva fatto. E comunque, le sue parole non scalfivano la sostanza. Non scriveva per lavoro, non avrebbe mai saputo come fare. Pensava che una storia dovesse spuntare dalla penna come un coniglio bianco dal cappello del mago. E difatti così era sempre stato; scrivere a comando, impossibile. Anche imporsi di star seduta ad aspettare l’onda anomala dell’ispirazione era controproducente.

Si limitava a vivere. Il resto veniva da sé.

Appunto, derazzava come al solito: lago di Garda, sì, ci si va.

Certo, solo l’idea di lasciare la casa, le nuotate tra gli scogli il mattino presto…

Era stata così privilegiata nella sua vita dall’ereditare dai nonni materni, mancati entrambi quando era ancora un’adolescente, una casa a picco sulla scogliera di Masua. Non Capri o il Circeo: Masua e la sua selvaggia bellezza.

porto-flavia-01Il padre di sua madre era proprietario di una miniera di zinco nel Sulcis e a Genova si occupava di trasporti marittimi. Era stato tra i primi a organizzare il trasferimento dei minerali dagli stretti cunicoli della miniera alle stive delle navi da carico ancorate alla fonda di fronte al Pan di zucchero di Porto Flavia in attesa di un mare che rendesse possibile il caricamento.

Si ricordava ancora la prima volta che il nonno la portò a vedere il lungo viaggio che il minerale fossile compiva, dall’estrazione fino allo stivaggio. Si erano inoltrati nel buio delle gallerie scavate dai minatori nell’altissima falesia. Ogni tanto sbucavano in piccoli terrazzamenti affacciati sul mare color zaffiro, profondo e inquieto e doveva ripararsi gli occhi per la luce abbagliante che le faceva perdere l’orientamento.

illustrazione-del-procedimento-di-caricoCiò che la impressionava maggiormente era quel tapis roulant che dal fondo di silos scavati all’interno della costa prelevava i minerali e al ritmo di 300 tonnellate all’ora, sporgendosi 16 metri oltre la costa e con l’aiuto di un braccio meccanico ideato ad hoc, li scaricava con un salto di 25 metri direttamente nelle stive aperte delle navi dirette a Genova. Quelle stive le sembravano bocche spalancate e affamate di animali di ferro che, saziati, si allontanavano lentamente dalla scogliera risalendo la costa e scomparendo presto dalla sua vista.

I nonni, per lei quasi un padre e una madre, erano partiti presto, insieme, per il loro ultimo, misterioso viaggio.

Tutto ciò che la morte toglie, la vita dà, in varie forme: incontri, beni, prerogative, caratterialitá. E così, da cinquanta anni a quella parte Altea aveva stabilito il suo buen retiro in questa piccola villa liberty battuta dal vento e mordicchiata dalla salsedine.

Improbabile, così si chiamava. Era la parola che aveva pronunciato l’ingegner De Pascalis quando il bisnonno di Altea gli aveva sottoposto il fantasioso progetto della casa. Niente di particolare, a ben vedere, solo tre piani di terrazze degradanti a picco sugli scogli.

Il progetto “improbabile” fu perfettamente realizzato e dell’iniziale incertezza dell’ingegnere rimase solo la parola, a futuro monito di chi quella casa avrebbe abitato: “Improbabile, non impossibile”.

Come ciò che accadde un mattino presto.

Altea aveva scoperto da bimba che l’acqua sopra la quale si affacciava la terrazza della sua camera da letto era molto profonda. Negli anni aveva assunto l’abitudine, quando il tempo lo permetteva, di svegliarsi con un tuffo in mare prima di gustarsi in pace la colazione. Quel mattino era particolarmente assonnata e quasi non aveva guardato prima di tuffarsi. Non lo aveva preso in pieno soltanto perché lui, invece, l’aveva vista mentre saltava dal parapetto del terrazzo.

“Buon giorno! Splendido tuffo!” commentò, mentre Altea riprendeva fiato tornando a galla.

La sua voce, diretta e consapevole del potere che esercitata sugli altri, accompagnava uno sguardo profondo e curioso. In acqua le sue mani le si appoggiarono sui fianchi per sospingerla dolcemente verso la scaletta che risaliva al patio di casa.

 Occhi, voce e mani. Questo ciò che ricordava del loro primo incontro e questo la accompagnó per tutti gli anni a venire. Anni in cui, quando Altea pensava a un accadimento del passato, non riusciva a discernere il tempo in cui Lui non era ancora apparso nella sua vita da quello nel quale, invece, Egli vi si era mosso a piacimento.

Quando dialogavano non esistevano schermi, protezioni, barriere da alzare. Le parole, come frecce, raggiungevano sempre il bersaglio d’essere comprese esattamente per ciò che dovevano significare.

Tenerezza, progetti, erotismo, amore, vita, tutto si mischió per farli procedere come si fossero sempre conosciuti, lasciati per caso e incontrati nuovamente.

Invece, quando si separarono, non fu per caso e nemmeno per mettere fine a ciò che avevano insieme.

Le loro famiglie di origine erano geograficamente assai distanti da loro. Nello stesso periodo entrambi dovettero partire per prendersi cura di chi li aveva messi al mondo. E dato che, altri sentimenti che li univano erano un radicato senso della famiglia e una forte gratitudine per chi li aveva portati ad essere ciò che erano, si allontanarono fisicamente l’uno dall’altro senza bisogno di spiegazioni, in un perfetto equilibrio di comprensione e consapevolezza.

E senza darsi un appuntamento.

Erano passati alcuni anni da quel momento, in verità ancora stavano passando. E si erano rivisti solo entrando l’una nei sogni dell’altro, rimanendo insieme fino al mattino, fino a quei frammenti che Altea non riusciva a fissare nella memoria.

Aveva cominciato a scrivere, per se stessa, per continuare il viaggio che stavano facendo insieme. Per parlare con Lui. Lei scriveva e sapeva Lui l’avrebbe sentita. Lui guardava e lei vedeva.

Non c’erano spiegazioni. Sapevano entrambi che così erano: l’uno nell’altra.

La sera della festa si avvicina veloce. Il giorno lo trascorre in viaggio, scegliendo nave e treno per arrivare a destinazione. Un viaggio certo più lungo che se fatto in aereo, ma per staccarsi da ciò che amava, Altea aveva bisogno di un giusto tempo di compensazione e, se poteva, sceglieva sempre mezzi di trasporto che le lasciassero il tempo di sedimentare, nel languore della partenza, l’appetito dell’arrivo.

In questo caso la via più lenta la fa giungere assai in ritardo al grazioso bed & breakfast che ha prenotato.

nebbia e luciNella fretta di rinfrescarsi, infilarsi nel lungo vestito di chiffon nero e correre via per non mancare l’inizio della festa a sorpresa, si dimentica del cartoncino d’invito che le sembra importante quando giunge nel giardino della villa, illuminato solo da fioche luci. Minuscole candele la fanno procedere lentamente fino alla scalinata che porta alla loggia.

È in ritardo, come spesso le succedeva. Lui invece era sempre quasi fastidiosamente puntuale, con qualche defaillance che ne certificava l’umana essenza.

La festa è iniziata sicuramente e la sorpresa già svelata, proprio là, nel loggiato verso il quale sta salendo quasi di corsa, anch’esso poco illuminato.

Ho sbagliato sera. Era domani.

Ma l’invito rimasto sul letto del B&B non può aiutarla. Scorge un’ombra sulla destra e nello stesso istante cento fiaccole si accendono insieme.

“Buon compleanno Altea!” Vede solo occhi ridenti e amici festosi.

Aveva dimenticato il suo compleanno. Loro no.

L’Ombra che era rimasta tale nonostante lo scintillio delle fiaccole le si muove incontro. “Bello come alcune certezze rimangano salde. Sei sempre in ritardo. Ma questa volta, per fortuna, erano cinque minuti dei miei”.

 

FINE

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8 Commenti
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Antonio Orifici
5 Luglio 2017 0:05

Sono Antonio, dell’afosa mattina di un martedi’ di fine Giugno. Complimenti sinceri. Non sono un critico letterario, ma scrivo anch’io: scrivo perche’ e’ bello osservare la vita, che e’ la piu’ grande sceneggiatrice che esiste, ma non ha mai vinto un Oscar. Tu scrivi molto molto bene. ARRIVI AL LETTORE. Non smettere, continua, perche’ i tuoi racconti ci mancano gia’.

Lalli Theodoli
18 Ottobre 2016 5:45

Afferra la carta e la penna o… mezzi più tecnologici… e non li abbandonare mai!!!
SCRIVI!!!

Paola Caburazzi
11 Ottobre 2016 10:58

Bello… come un sogno misterioso… la notte!

Maria Sole Confortini
4 Ottobre 2016 16:07

Che dire? Scrivi scrivi scrivi per te e per noi.
Grazie

Francesco Bonora
4 Ottobre 2016 11:45

Bello, proprio bello. Ma come fai a scavare con leggerezza ma arrivando in fondo alle cose dell’anima? Non smettere. Mai.
Francesco

Marguerite de Merode
4 Ottobre 2016 11:13

Butta la maschera, Isabella! Dedicati allo scrivere. Che talento! Mettiti dove passa la brezza della tua ispirazione e respira a pieni polmoni l’aria giusta e regalaci altri racconti! Ti prego. E’ una gioia leggerti!

Sabina
3 Ottobre 2016 16:30

Che bel racconto Isabella!! Pura fantasia o un pò di autobiografia?
A presto, Sabina

Carlotta Staderini
3 Ottobre 2016 15:21

Isabella, secondo me tu sei molto brava. Anche il tuo racconto precedente mi piacque molto… hai talento, sensibilità e passione. Ed è una passione che colma quella della scrittura; beata te. Prosegui per favore.