LA LAMPADINA – RACCONTI: Da Silvia, Ponza 26 agosto 2013

I RACCONTI DE LA LAMPADINA

DA SILVIA, PONZA 26 AGOSTO 2013

di Aloisio Gaetani d’Aragona

Brontola senza tregua, i tuoni sembrano spaccare l’aria, piove forte dappertutto anche sul tetto e sulle tende del ristorante.
L’acqua scende dal cielo come da un’immensa pentola rovesciata di colpo sui tavoli appoggiati in fretta quasi in verticale sulle seggiole di legno piantate all’ultimo momento di traverso sui ciottoli della spiaggia; su quelli che sono rimasti orizzontali l’acqua ha già creato una serie di piccoli laghetti lucidi, mentre su quelli inclinati le gocce vengono giù velocissime precipitando direttamente sui sassi.
Il mare color piombo invece è completamente fermo; gli occhi grandi che intravedo tra gli svolazzi del kaftano viola che rispondono a ritmo alle raffiche di vento con la tazzina del caffè ferma davanti al naso, sorridono divertiti.
Gli ospiti ai tavoli apparecchiati al sicuro sotto la pergola sembra quasi abbiano voglia di parlare,  di fare un commento magari anche banale ma poi non ne hanno il coraggio.
Chissà alla fine cosa si sarebbero detti.

Il magistrato tutto impettito, la donna riccia che aspetta allungando il muso il marito che, come sempre ritarda a scendere dalla camera, è seduta impietrita davanti alla giovane figlia che imburra lentissimamente una fetta di pane, il piccolo play boy di periferia seduto al tavolo dell’angolo insieme ai due ragazzi tirati a lucido belli, muti e stupidi; ma cosa avranno a che fare tra di loro, perché si stanno ritrovando insieme ?
Niente, dovranno solo aspettare che scampi e intanto non riusciranno a muoversi di lì.
Un’ombra dietro le tende del secondo piano sembra osservare.
L’urlo, lungo, agghiacciante sorprende il piccolo drappello proprio mentre la pioggia comincia a perdere intensità.
Salvatore aggrotta un sopracciglio, Agostino rientra velocissimo in cucina.
La luce del lampo e il boato del tuono arrivano insieme.
Il gruppo si è sciolto, sparito nel nulla; sotto la pergola adesso non c’è più nessuno.
L’uomo massiccio, curvo sotto il peso della donna scende correndo l’ultimo gradino mentre un rivolo di sangue si forma dal coltello ancora piantato nella schiena e lascia delle piccole pozze sul terreno lucido di pioggia.
La figura sparisce velocissima nel sentiero che costeggia l’argine mentre due donne scalze fuggono terrorizzate nella direzione opposta agitando le braccia.
Solo un cane, vecchio e spelato non si perde la scena e le rincorre da lontano abbaiando inutilmente.
L’aria si è fermata.
All’improvviso è tornato il sole e tutto è come prima.
Ai tavoli si sono materializzati nuovamente tutti e già qualcuno riprende a smanettare il cellulare.
Ma… cosa stavamo dicendo ?

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