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Lunedi, 3 ottobre 2016

Ciao,
oggi la nostra Lampadina si accende su:

La Lampadina - n. 52
Ottobre 2016

L'autunno è appena iniziato, dicono che sia la stagione della decadenza e della rinascita: la natura si veste di colori meravigliosi, la luce particolare di questo periodo fa risaltare ogni paesaggio, le foglie cadono e creano nutrimento per altri organismi. C'è fermento, e noi seguiamo la traccia: il 25 ottobre cerchiamo  di capire qualcosa di più dell'elezione del Presidente USA; a novembre ci dedichiamo al collezionismo e molto altro è previsto nei prossimi mesi, noi il letargo invernale non lo conosciamo... 


ASTRONOMIA: Urania quei libri di fantascienza e Kepler
Articolo di Carlo Verga

Il primo numero originale di Urania

Vi ricordate i Romanzi di Urania? Il primo uscì nel 1952, “Le sabbie di Marte” di Arthur C. Clarke. Molti gli autori come Isaac Asimov, Ballard, Dick che furono pubblicati per la prima volta su questi libri. Pensate che per un ventennio i curatori furono anche Carlo Fruttero e Franco Lucentini.

Gli esopianeti scoperti nel corso degli anniNe avevo una collezione che si arricchiva di mese in mese, appena uscivano mi chiudevo in camera e non ne uscivo fino a che non avevo letto le ultime pagine. Mondi nuovi, avventure spaziali, più credibili almeno per me, di quelli fantastici rappresentati nei film di oggi e poi li “creavo” con la mia immaginazione.

E’ passato qualche anno ma sul Corriere di qualche giorno fa un articolo “C’è vita nell’universo, molta vita”, lo leggo con attenzione, parlano gli scienziati di Kepler, il grande telescopio lanciato in orbita nel 2009, annunciano di aver scoperto 1.284 nuovi pianeti extra solari, cioè pianeti che ruotano attorno a una stella diversa dalla nostra. Pazzesco, e tutto fa pensare che ce ne siano miliardi e alcuni certamente ospitali. Entriamo certo in una nuova epoca.

I sensori di Kepler

I primi pianeti, fuori del sistema solare, sono stati scoperti, negli anni 90, con un sistema definito “metodo della velocità radiale” che misura una variazione periodica in frequenza della sua emissione luminosa, in questo modo viene rilevato il moto orbitale e la sua massa. Grande rivoluzione poi con un nuovo metodo definito “metodo dei transiti fotometria di precisione” che tiene sotto controllo la luminosità del corpo celeste misurandone la differenza quando un altro corpo le passa davanti.

Transito di un pianeta sulla sua stella. In basso il grafico della curva di luce.Rilevazione della diminuzione di luminosità della curva di luce di una stella quando un pianeta transita di fronte alla stella madre. La diminuzione è correlata alla dimensione relativa della stella madre, del pianeta e della sua orbita.

Le due tecniche combinate riescono a dare un idea abbastanza precisa della massa e della densità.
Il nuovo telescopio Kepler sorveglia una piccola parte del cielo tra la costellazione del Cigno e della Lira, tiene sotto controllo circa 150mila stelle. Il telescopio utilizza un sistema per le misure di fotometria e di camere fotografiche molto sofisticato, da quasi 100 milioni di Pixel.

La zona abitabile

Molti dei corpi celesti osservati si sono rilevati inospitali perchè troppo vicini ad una stella, temperature impossibili, atmosfere dense di elio e idrogeno. Ma molti sono in una fascia considerata abitabile molto simile a quella dove si trova la nostra terra, quindi temperature miti dove ipotizzabile anche la presenza di acqua. A breve verrà lanciato un nuovo telescopio ancora più sofisticato per osservare circa 200 mila dei corpi celesti più vicini a noi.
L’aspettativa è quella di trovarne un numero intorno ai 500 con caratteristiche simili alla nostra Terra.
La via Lattea contiene circa 200 milioni di stelle, ma è una tra le 100 miliardi di galassie che popolano il nostro universo.
In questo panorama quante potrebbero essere i corpi celesti simili al nostro e che potrebbero contenere delle forme di vita?
La cifra certo per difetto potrebbe arrivare a milioni di miliardi?
Tra qualche anno riusciremo ad analizzare anche la composizione dell’atmosfera di quelli più vicini, cosi da rilevare la presenza di sostanze organiche acqua e qualche indizio di forme di vita.
Sì, passeranno ancora tanti anni, poi chissà?
Troveremo forme di vita simili alla nostra?
Saremo pronti ad affrontare un problema così grande, i primi contatti, le relazioni, i rapporti con loro, lo sapranno fare le nuove generazioni?
Certo se dovessimo guardare la storia del nostro di mondo, i primi viaggi in America, Cina etc e le relative risultanze, mi sentirei in qualche modo imbarazzato.
Ma i tempi cambiano, almeno speriamo.
Forse converrebbe ripercorrere i romanzi di Urania cosi saremo, almeno, preparati?

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FOTOGRAFIA: Uno stravagante ed avventuroso personaggio di nome Felice Beato. Il primo fotografo di guerra della storia.
Articolo di Marguerite de Merode

Autoritratto di Felice BeatoIntorno alla prima metà del Ottocento nasce la fotografia. Diventa presto uno strumento ideale per ricercatori e viaggiatori nel documentare le loro scoperte, un mezzo di trasmissione di immagini molto dettagliate per illustrare un contesto sociale, un evento bellico, un’occasione mondana oppure per creare ritratti e paesaggi. Dalla prima Eliografia di Joseph Niépce, 1826 ai dagherrotipi di Louis Jacques Mandé Daguerre nel 1837, questo mezzo rivoluzionario trova rapidamente una serie di addetti appassionati.

Uno di loro, uno stravagante ed avventuroso personaggio si chiama Felice Beato. Come essere una persona qualunque con un tale nome!

Interno del Taku North Fort in Cina, immediatamente dopo la presa da parte delle truppe Anglo-Francesi (1860)Delle sue origini non si sa molto. Nasce in Italia nei primi anni del 1830, si naturalizza inglese e diventa presto il primo fotografo al mondo a dedicarsi al fotogiornalismo dal 1850 in poi. Insieme al cognato, marito di sua sorella Leonilda, e suo fratello Antonio, forma una società la "Robertson, Beato & Co." a cui rimane legato fino al 1867. Beato è il primo fotografo a documentare le guerre. Sarà a Balaklava in Crimea nel 55’, alla caduta di Sebastopoli, a Calcutta per documentare le conseguenze della ribellione indiana del 1857.
E’ il primo europeo a illustrare la Cina dell’epoca e sarà lì nella spedizione militare anglo-francese della seconda guerra dell’oppio nel 1860.

Sikh e ufficiali britanici

Con lo spirito del fotogiornalista riprende spesso cadaveri che, si dice, fa spostare per aumentarne l’effetto scenico. Sempre corpi di non europei, per poterne vendere le immagini ad acquirenti occidentali. Passa per Atene, Costantinopoli, la Palestina e l’Egitto.
Le sue foto rappresentano spesso l’unica documentazione di fabbricati che verranno poi distrutti in futuri conflitti. Realizza centinaia di ritratti, preziosi elementi di grande interesse etnografico.
Nel Regno Unito le sue fotografie vengono utilizzate anche per giustificare la guerra dell’oppio e le altre guerre coloniali. Oltre che fotografo di guerra è stato pure un ottimo paesaggista cercando di rendere vaste panoramiche unendo insieme più stampe ottenute da scatti contigui.
Alla fine del 1861 Beato è in Inghilterra, dove vende circa quattrocento fotografie dell’India e della Cina. Sono illustrazioni di un mondo di cui l’Occidente è totalmente all’oscuro. In molte fotografie scattate contemporaneamente in vari parti del globo, compare la firma “Felice Antonio Beato”. Sembra che sia una firma utilizzata sia da uno che dall’altro fratello a rappresentare entrambi.

SamuraiComunque, Felice viene soprattutto ricordato per gli scatti che realizza dal 1863 al 1877 nel Giappone della dinastia Edo, paese chiuso ai contatti con il mondo esterno per due secoli, e poi riaperto con forza dall’intervento degli Stati Uniti. E' l’alba della modernità, la fine di un’epoca di cui le immagini che ci giungono grazie a lui ci illustrano i paesaggi, le città e, soprattutto, le persone: uomini che girano con la spada, samurai, anziani e donne in costumi tradizionali.
Ogni sua opera è una finestra aperta sul mondo orientale, lontano e sconosciuto, che, grazie alla fotografia si offre alla curiosità del pubblico europeo. Crea a Yokohama insieme al pittore Charles Wirgman, specializzato nella coloritura delle stampe fotografiche con l’anilina, una vera e propria scuola a cui partecipano molti artisti locali.

Panoramica di Yokohama

Visto che per la colorazione di una buona fotografia occorre quasi mezza giornata, si forma una catena di montaggio con una gerarchia produttiva ben precisa, che segue anche le inclinazioni e il grado di abilità di ciascun colorista. La scuola di Yokohama  crea uno stile e una moda che perdura fino ai primi del Novecento. 
La mancanza di colore nelle fotografie ottocentesche era avvertita come un limite. La policromia di queste stampe, unite alla loro raffinatezza e esoticità,  contribuisce al loro grande successo commerciale in Occidente. Beato pubblica nel 1868 due volumi: “Native Types” e “Views of Japan”.

Donna che si lava i capelli, 1890 circaLe sue avventure da fotoreporter lo trovano ancora in varie occasioni come protagonista: nel ’71 in Corea, nel ’84 in Egitto. Dal 1884 al 1885 segue la spedizione, condotta dal generale Charles George Gordon in Sudan.  Nel frattempo non  si limita solo alla fotografia e viene nominato nel 1873 Console Generale per la Grecia in Giappone dove si lancia pure in attività finanziarie, immobiliari e commerciali di scarso successo. La sua incredibile energia lo porta, lasciando il Giappone, in Birmania dove riapre uno studio fotografico.
Rientra infine in Europa e si pensa muoia a Firenze nel 1909.
Per apprezzare le sue incredibili imprese bisogna ricordarsi delle difficoltà tecniche della fotografia di allora. Durante la sua lunga attività, Felice Beato ha vissuto l’evoluzione dei materiali sensibili ancora allo stato pionieristico. Non crea "istantanee" ma grandi lastre con lunghi tempi di esposizione. E' una notevole emozione guardare i suoi scatti, testimonianze di un mondo remoto.

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ABBIAMO OSPITI - STORIA: Il Forte come centro sociale e di commercio nel Canada del XVIII secolo
Articolo di Enrico Ricci – Autore Ospite de La Lampadina

Evoluzione animata dei confini e dei nomi delle province e dei territori del CanadaVerso la fine del XVII secolo iniziò quel lento ed inesorabile avanzamento della popolazione americana di origine francese ed inglese in tutto il Nord America verso l’Ovest.
Consolidate le prime città costruite nel versante atlantico, che già potevano competere, per abitanti almeno, con quelle europee, si cercò di conoscere, valorizzare e sfruttare l’enorme territorio che le divideva dall’Oceano Pacifico.
La nazione canadese, così ricca di acque interne, con i suoi numerosi e sterminati laghi, con i suoi grandi fiumi, fu esplorata inizialmente percorrendo appunto queste vie d’acqua, alcune delle quali partivano dalla Baia di Hudson, altre dai Grandi laghi e da questi, attraverso il fiume San Lorenzo, fino all’Oceano Atlantico.
I finanziamenti necessari per intraprendere queste esplorazioni in luoghi così remoti ed abitati da gente di lingua e costumi diversi, venivano assicurati inizialmente dalla potente Compagnia della Baia di Hudson che, sotto la bandiera inglese, aveva costituito con gli anni una serie di collegamenti veloci, risalendo i fiumi canadesi ed attraversando il laghi che si incontravano verso occidente.

Il territorio gestito dalla Hudson's Bay CompanyIl territorio così esplorato andava difeso ed organizzato, e pertanto venivano di volta in volta costituiti dei caposaldi, piccoli fortini, abitati anche da poche persone sempre a ridosso di corsi d’acqua o di laghi.
Questi centri così disseminati, che oggi sono diventati le grandi città canadesi venivano costruiti con il materiale di cui il territorio era ed è abbondante: il legno.
Il “Forte” era costituito da un perimetro di forma rettangolare formato da enormi tronchi d’albero, appena sagomati, conficcati verticalmente nel terreno e uniti tra loro, posizionando agli angoli delle torri più elevate, per il controllo e l’avvistamento di eventuali pericoli.

Fortificazione con torrettaAll’interno venivano realizzate delle piccole case sempre in legno per la piccola guarnigione mandata dalla Compagnia della B.H. o per la popolazione del forte.
I collegamenti tra forte e forte avvenivano unicamente attraverso le vie d’acqua con semplici canoe indiane o con delle imbarcazioni più grandi che la Compagnia della Baia di Hudson metteva a disposizione provenienti dalla cittadina chiamata York Factory situata al centro della baia stessa.
Il commercio principale dalla fine del XVII secolo sino alla metà del XVIII era quello delle pelli di castoro.
La ricchezza del Canada era misurata appunto dall’enorme quantità di pelli di castoro che poteva commerciare ed esportare verso il mercato europeo.

Trapper dell'epocaOltre ai “trappers”, gli stessi indiani catturavano questi animali per poi portare le loro pelli al più vicino Forte per un controvalore in tabacco, pistole, coperte e alcol.
Gli indiani per facilitare lo scambio incominciarono a piantare le loro tende poco fuori il forte dando vita a piccoli villaggi.
Il “Forte” si trasforma pian piano in un vero centro sociale, il primo ed unico nucleo abitativo dove coesistevano contemporaneamente funzionari della Compagnia della Baia di Hudson, cacciatori bianchi di pelli di origine francese o inglese e differenti tribù di indiani, un vero centro sociale e di scambi. Si confrontavano pacificamente coloni inglesi, cacciatori francesi e nativi americani, quest’ultimi suddivisi in varie tribù, irochesi, moicani etc. Il forte rappresentava l’unico luogo in un territorio sconosciuto ed esteso dove era possibile socializzare e conoscersi.
Tra i tanti fortini costruiti nel nord America merita una segnalazione il Forte Edmonton lungo il ramo nord del fiume Saskatchewan, tuttora ben conservato e situato a poca distanza dal centro di Edmonton, l’attuale capitale dell’Alberta, che divenne il principale mercato di libero scambio per la Hudson's Bay Company.

Fort EdmontonVisitandolo si ha una precisa ricognizione di tutte le componenti del forte stesso. Vi sono le abitazioni per la guarnigione militare, i capanni per il ricovero dei cavalli, ma anche per le coltivazioni ortofrutticole, per la macellazione delle carni, bisonti soprattutto, nonché per lo stoccaggio dei pesci.
Ma all’interno del forte vi è anche una chiesa, un centro di incontro o di ritrovo e abitazioni per scapoli, per le famiglie e per gli indiani.
Il pane veniva cotto nei forni e le vivande venivano conservate in appositi ambienti chiamati case del ghiaccio con doppia parete per un giusto isolamento termico.
Fra le tante abitazioni presenti troneggia per la sua dimensione e per lo stile architettonico la residenza del capo della guarnigione, ossia il rappresentante della Compagnia della Baia di Hudson che amministrava allora un vastissimo territorio corrispondente alle attuali province canadesi dell’Alberta, del Saskatchewan e del Manitoba.

Casa RowandSi chiama Casa Rowand dal nome di John Rowand che fu il capo assoluto di quella regione fino alla sua morte avvenuta nel 1854, conoscitore sia del francese che dell’inglese e che, avendo sposato una donna indiana, poteva parlare anche diverse lingue di tribù indiane della zona.
L’edificio il cui stile architettonico richiama il tipico palazzo inglese con i suoi due piani principali, un grande ballatoio, la copertura del tetto a quattro falde inclinate che consentono la realizzazione di un ulteriore piano abitato, è stato per molti anni il più grande edificio costruito ad ovest di Winnipeg.
Anche l’arredo ed il mobilio è stata costruito usando esclusivamente il legno, ma con pregevoli finiture tali da sottolineare come tale edificio sia stato realizzato come una vera residenza governativa da valorosi artigiani e sotto l’attenta visione di un architetto che ha saputo infondere al fabbricato un certo valore architettonico di stile europeo.

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ABBIAMO OSPITI – CULTURA: Fare il bucato, che strano modo di dire.
Articolo di Giulia Pasquazi Berliri – Autore Ospite de La Lampadina

bucato al solePerché mai quando si deve lavare la biancheria invece di dire "vado a lavare la biancheria", tutti diciamo" vado a fare la lavatrice"? La lavatrice mica la facciamo noi, noi ci limitiamo a mettere le cose da lavare dentro il cestello e la lavatrice poi, ossia lei, le lava. La lavatrice la fa chi la costruisce e non noi! Eppure ormai da questo modo di dire non si salva nessuno...
E poi chi sa dirmi perché il bucato, che doveva essere intero altrimenti si sarebbe chiamato cucito, quando viene lavato si chiama invece bucato?
Di certo non credo di essere la sola ad essersi chiesta perché si dice "fare il bucato", o chiamare i panni sporchi da lavare "bucato".
Io mi sono posta questi interrogativi proprio in una lavanderia a gettone aspettando di riavere delle lenzuola dopo il lavaggio e l'asciugatura e così, una volta tornata a casa, ho cominciato le mie ricerche.

L'otre o bigoncioFare il bucato è sinonimo di lavare i panni e ho trovato diverse origini di questa espressione. Usiamo abitualmente questa formula per descrivere l’azione di pulire i vestiti e la biancheria, sia se utilizziamo una lavatrice sia se laviamo tutto a mano. Ma perché diciamo allora il "bucato"? Verrebbe da pensare al verbo bucare, cioè fare un buco a qualcosa.
In effetti, nonostante non si sia arrivati ad una conclusione certa, il "buco" di fatto c’entra. Secondo una prima teoria, la parola "bucato" deriverebbe dal verbo tedesco bauchen ovvero "lavare con la lisciva" (soluzione liquida, ottenuta dalla bollitura della cenere) e questo nome deriverebbe a sua volta dal "francone" bukon che significa immergere.
Secondo altri, invece, la sua provenienza risalirebbe al sostantivo latino originariamente neutro plurale bucata: forse anche i soldati romani dovevano in qualche modo lavarsi i panni e probabilmente appresero il sistema dai "barbari" germanici!
Le due teorie concordano però nell’affermare che per lavare i panni anticamente si utilizzava un recipiente con un buco, l'antenato delle prime lavatrici, che chiamarle così oggi fa un po’ uno strano effetto. Insomma questi rudimentali, ma ingegnosi attrezzi per lavare i panni erano formati da un "otre" abbastanza capiente con un "bocchettone" che consentisse all'acqua di uscire dopo una lunga nottata passata in compagnia dei panni sporchi. Da questo foro quindi usciva l'acqua di lavaggio con l'allora sapone (la cenere) e l'uso di questo particolare recipiente con tale foro ha dato il nome di "bucato" ai panni che andavano lavati o erano stati appena lavati e/o raccolti.

La preparazione dell'otreOggi le moderne lavatrici non richiedono una presenza o un lavoro stancante e continuo, ma fino ad un tempo non troppo lontano per fare il bucato si iniziava la mattina presto e si finiva il giorno successivo. Difatti la mattina all’alba si disponeva la biancheria nella pila di pietra, situata nel cortile, con l’acqua che si attingeva dalla cisterna.
Si lavava con il sapone fatto a casa e, intanto, si appendeva il paiolo sotto al camino, lo si riempiva d’acqua e si accendeva il fuoco. Accanto si metteva l'otre o il bigoncio, sopra ad una specie di sgabello o cavalletto e si sistemava la biancheria all'interno ben pigiata (facendo in modo che non rimanesse alcun vuoto) e sopra si metteva a copertura un telo grezzo di canapa o di tela fortissima e su questo si spargeva cenere di legna, la cosiddetta lissia o lissiva, in quantità proporzionale a quella del bucato: infine, sulla cenere, si versavano litri e litri d’acqua bollente.

Lavandaie, foto di Nino Migliori, 1956 L’acqua versata sul telo grezzo filtrava attraverso la biancheria e scendeva in un grosso recipiente di creta che era situato sul pavimento sotto il calderone. Subito dopo l’acqua raccolta nel recipiente di creta si metteva nel paiolo per riscaldare e quindi si versava di nuovo sulla biancheria. Si continuava così per sette o nove volte, aumentando sempre di più la temperatura dell’acqua. Nell’ultimo lavaggio si mettevano scaglie di sapone e qualche foglia di alloro che si versavano direttamente sulla biancheria, dopo aver sollevato il telo grezzo. Alla fine si ricopriva il bucato e si lasciava raffreddare per tutta la notte. Il mattino dopo si toglieva la biancheria e un po’ alla volta si metteva nella pila piena d’acqua e si lavava un’altra volta. Veniva poi sciacquata in un recipiente di creta, trasportata con gran fatica al fiume o al pubblico lavatoio per essere rifinita e risciacquata; poi strizzata e infine stesa al sole ad asciugare.

lavatriciIl bucato si faceva periodicamente: si sbrigava a date fisse, ogni 15-20 giorni quello "minuto" e solitamente in primavera quello "grosso", perché fiumi e lavatoi non erano più ghiacciati ma pieni d’acqua dopo il disgelo, mentre in estate capitava che fossero vuoti a causa della siccità. Quindi la "grossa" biancheria sporca (lenzuola, asciugamani, traverse, tovagliati ecc, tutti rigorosamente bianchi) veniva conservata anche per mesi ammucchiata in un locale apposito della casa.
La biancheria fina (colli, polsini, sete, pizzi) invece era fatta bollire a parte con scaglie di sapone di Marsiglia, mentre le cosiddette "flanelle della pelle" (magliette, mutande e calze) venivano prima immerse in una miscela composta da 2 cucchiai di farina ogni 2 litri d’acqua e succo di limone che sgrassava e toglieva eventuali odori.

L’acqua corrente nelle case fu in molte zone d’Italia un sogno irrealizzabile sino all’abbondante metà degli anni ’50-60; dopo, pure il possedere la lavatrice fu spesso sogno reso irrealizzabile dai costi proibitivi che ebbe sino agli inizi del 1970.

lisciviatriceL’Enciclopedia Pratica Bompiani (1938) alla voce "Norme per lavare" suggeriva in città, al posto del bigoncio e per chi aveva l’acqua corrente, l’uso delle "lisciviatrici", antenate delle lavatrici che potevano essere utilizzate sui fornelli di cucina: recipienti cilindrici, muniti d’un coperchio e di un doppio fondo mobile a forellini sollevato dal fondo.
La biancheria grossa prima doveva essere messa a mollo 12 ore insieme a 200 gr di sapone, 12 di ammoniaca, 12 di trementina, 50 di borace ogni 12 litri d’acqua. Poi strizzata e messa sul fuoco a bollire con 100 gr di soda nella lisciviatrice, che però ne conteneva ben pochi pezzi e quindi la manovra doveva essere ripetuta più e più volte.
Ma l’Enciclopedia concludeva trionfante che, grazie alle lisciviatrici, "in passato il nostro bucato voleva a disposizione più di una settimana; oggi non più di 3 giorni"!

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COSTUME: Memoria
Articolo di Lalli Theodoli

Dopo quella che a me pare una lunga assenza, mi riaffaccio a trovare i miei nipoti in campagna.
Mi  sembra di avere da recuperare tanto tempo, credo di aver mille cose da raccontare loro e così, con entusiasmo, parto con descrizioni su quanto ho fatto da quando non li ho visti.
Borges e la memoriaColgo però alcuni sguardi, complici fra di loro; si lanciano occhiate che pensano io non raccolga, alzano gli occhi distrattamente al cielo, nascondono uno sbadiglio annoiato.
Si squarcia implacabile un ricordo, anzi IL RICORDO  di quando con le mie sorelle ci guardavamo disperate all’ennesimo racconto, sempre lo stesso della vecchia zia. Rideva, come sempre, già da sola, prima di raccontarci del vecchio prete che beveva l’acqua del  bowl  ingoiando anche la foglia di garofano galleggiante o di quando era uscita con le pantofole al posto delle scarpe.
Gli sguardi dei genitori ci imponevano  di sorridere, anzi di ridere come ad un nuovo racconto. E noi veramente cercavamo di sorridere. Ridere non ci era possibile.
Su questa memoria li affronto.
“Quando, e capiterà sempre più spesso, vi racconto qualcosa che vi ho già detto, non fate finta di nulla, non sorridete compiacenti. Bloccatemi subito e tranquillamente ditemi “Ma nonna, ce lo hai già raccontato!” Io non mi offenderò. So che la memoria ha ora strani sbalzi.

C'eravamo tanto amati? Mi ascoltano contenti. Sospirano di solllievo,  ma anche io sono sollevata. Preferisco la cruda verità ad una finta attenzione.
O almeno così pensavo.

Dopo qualche tempo, torno a trovarli.
A tavola, dopo averli massacrati di  “giù i gomiti, dritti con la schiena, non parlate a bocca piena” parto con un racconto che sinceramente credo inedito.
Ho appena cominciato con un “Non sapete cosa faceva mio padre quando vedeva i gomiti a  tavola…”
Si  scatena un coro “Nonna ma già ce lo hai raccontato!”
“Ah bravi,  grazie di avermi evitato di ripetermi!” e cambio argomento…
”Ma nonna ce lo hai detto l’altra volta”.
Si azzuffano fra loro ridendo come matti. “Ma non ce lo ha detto solo una volta”  attacca uno, “No almeno dieci”, risponde l’altra, ”No cento volte!”
Ridono fra loro come matti, dandosi allegre gomitate.
Il gioco pare ora  di non farmi nemmeno cominciare a parlare per intervenire e bloccarmi immediatamente.
Un concorso a premi su chi mi ferma per primo.
Rido con loro.
Ma ora un po' perplessa.
Attentissima prima di avviare un qualsiasi discorso.
Un po’ di nostalgia per quella vecchia educazione in cui si ascoltava sbadigliando.

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SUGGERIMENTI "ILLUMINANTI"

DA VEDERE: TEDxCNR BEYOND THE KNOWN ROMA. E' l’evento di comunicazione globale che per la prima volta in Italia coinvolge un Ente di ricerca...
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DA VEDERE: IL TEATRO DI KENNETH BRANAGH AL CINEMA - Stagione 2016-2017. Al via dal 18 ottobre con "Racconto d’inverno" con Judi Dench la nuova stagione della Kenneth Branagh Theatre Company che porta sul grande schermo gli spettacoli diretti dal candidato all’Oscar Kenneth Branagh, e in scena al Garrick Theatre di Londra nel corso dell’anno...
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FLASH NEWS!

Un po' qua, un po' là...

Un po' di positiva quallità! Intervista a Diego Piacentini: "Regalo due anni all'Italia per portarla nelle modernità e farvi dimenticare i certificati " da la Repubblica del 30/10/2016
Leggi la proposta di Piacentini
MdM

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Il più antico amo da pesca del mondo . E' stato ritrovato in Giappone il più antico amo da pesca conosciuto al mondo realizzato con gusci di lumaca di mare 23 mila anni fa. l'amo da pesca ritrovato in Giappone“Una scoperta preziosa, che testimonia un aspetto nuovo del Paleolitico, periodo che si credeva caratterizzato da popoli dediti principalmente alla caccia sulla terra“. Con l'uso della pesca da parte delle popolazioni del Paleolitico come sistema per nutrirsi, cambia molto lo studio delle implicazioni evolutive, relazionali, sociali, oltre che nutrizionali.
MdM

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Forse una soluzione? Il canadese Robert Bezeau ha plastic-bottle-villagecostruito il “Plastic Bottle Village” a Bocas del Toro a Panama: il primo villaggio al mondo costruito interamente con le bottiglie di plastica con un milione di vuoti trovati in giro per l’isola. Inserendole in delle griglie metalliche a forma di grandi mattoni, si realizzano case fresche, perfettamente antisismiche e anche galleggianti in caso di inondazioni.
MdM

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Nuova Biennale, nuova curatrice! Sarà Christine Macel la curatrice della 57esima Biennale d’Arte di Venezia dal titolo Viva Arte Viva. Christine MacelChristine Macel nel presentare la sua rassegna esordisce definendo l'arte un “campo prezioso e da proteggere perché è un luogo della libertà, della riflessione, del sogno e dell’utopia”. Darà grande importanza alla figura dell’artista, tant'è che il catalogo sarà interamente dedicato agli artisti, senza testi critici. Si porrà come mediatore tra gli artisti (il loro studio, il loro pensiero) e il pubblico dando molto spazio all’energia della creatività, tra varie generazioni e aree geografiche, come America Latina, Asia, Europa, ma anche artisti Inuit e Kazaki.
MdM

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Quadri reali. Il principe Carlo ha un grande futuro da pittore, Un quadro del principe Carlodipinge paesaggi, e vende le litografie dei suoi acquarelli, a edizioni limitate, a circa 3200 euro ciascuna. Produce i suoi dipinti dal 1997 e fino ad oggi gli hanno reso circa 6 milioni di sterlina andati tutti in beneficenza.
CV

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Una pella nuova? Care signore spariscono le rughe Prima e doponiente più interventi, niente più massaggi niente più creme costosissime oggi sembra si stia affermando una sottilissima pellicola adesiva, si chiama Xpl è stata messa a punto dai ricercatori del Mit. E’ un film a base di silicone, distende la pelle è traspirante e protegge dai raggi ultravioletti. Potrà anche essere usata, in futuro, per somministrare farmaci e curare le malattie dermatologiche.
CV

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EVENTI APPUNTAMENTI 

Come si diventa collezionisti?
Ce lo spiega Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Dopo il successo delle lezioni  su "L'avventura dell’Arte Moderna da Pablo Picasso a Jeff Koons" tenute da Ludovico Pratesi nella scorsa primavera, si è pensato di proseguire il viaggio nell'arte con la proposta di un ciclo di quattro lezioni nel mese di novembre relative a 
"L'arte di collezionare l'arte contemporanea".

Il Corso si svolgerà al Circolo degli Affari Esteri di Roma e si snoderà in quattro incontri serali
nei martedi 8 - 15 - 22 - 29 del mese di novembre 2016.

Leggi di più

I posti sono limitati.
Per favore scriveteci al più presto per segnalate la Vostra partecipazione al corso scrivendo a:
info@lalampadina.net

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A TEATRO CON
LA LAMPADINA

Logo Olimpico

Il teatro Olimpico di Roma ci presenta dal 6 al 16 ottobre un nuovo sorprendente spettacolo di Emiliano Pellisari con Roma Barocca Ensemble "Aria, arie barocche nell'aria".
L’incanto dell’arte barocca ispira. La poesia della musica, la fantasia della danza, l’eleganza dei costumi, la grazia delle scenografie: come in un sogno, immergetevi in questo stupefacente “teatro delle meraviglie”, realizzato attraverso le spettacolari e potenti tecniche espressive Della No Gravity Dance Company e la musica dal vivo della Roma Barocca Ensemble.

Dal 6 al 16 ottobre 2016.

no Ggravity Dance Company di Emiliano Pellisari "Aria" dal 6 ottobre promozione speciale Clicca sull’immagine e leggi le promozioni riservate ai Lettori de La Lampadina e prenota al botteghino.

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GLI APPUNTAMENTI
DE LA LAMPADINA

La Lampadina, in collaborazione con
il Circolo del Ministero
degli Affari Esteri,
Vi invita il
25 ottobre 2016
alle 19.00 al
Circolo degli Affari Esteri
per la presentazione del libro di Rodolfo Bastianelli
"IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI.
Dalla Dichiarazione di Indipendenza ad oggi
"

Cover del libro

edito da Eurilink Edizioni
"In un appassionante periodo in cui l'elezione del Presidente degli Stati Uniti è seguita con trepidazione dal mondo intero, il libro di Bastianelli analizza per noi la procedura in cui viene eletto il Presidente, i poteri di cui dispone e i rapporti che intercorrono tra Casa Bianca ed il Congresso nel sistema politico statunitense".

Invito Il Presidente degli Stati Uniti
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L'incontro, con entrata libera su prenotazione allo 06/8086130, si terrà nei saloni del Circolo MAE, Lungotevere dell'Acqua Acetosa 42, 00197 Roma.


MOSTRE
Questo mese le scelte di
Marguerite de Merode
cadono su:

Pompei

Mitoraj: 30 sculture a Pompei - “30 grandi sculture sono state distribuite mitoray-2nei luoghi più significativi di Pompei, dal Foro alla Basilica, dal Quadriportico dei Teatri alla via dell'Abbondanza, con gli imponenti personaggi mitologici che si confrontano con le architetture più note della cittadina campana“. Una grande mostra curata dalla Soprintendenza Speciale di Pompei insieme all’Atelier Mitoraj di Pietrasanta e la Galleria d'arte Contini, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro. Igor Mitoraj definito da Strinati, un "sognatore dell'antichità'", mjtorainon ha purtroppo potuto vedere le sue opere nel sito Partenopeo. Venuto a mancare nell’ottobre del 2014 l’artista già da tempo lo aveva voluto e programmato. Una perfetta combinazione tra il mondo antico e la contemporaneità, dove le opere del maestro franco-polacco trovano la loro naturale collocazione. Da non mancare. Con un rapido treno per Napoli e una gita in Circumvesuviana si può facilmente programmare la visita in giornata da Roma.
Fino a gennaio 2017

ROMA
C’è un grande fervore in questo momento a Roma, molte gallerie hanno aperto le loro porte dopo la pausa estiva:

Lorcan o’Neill - Kiki Smith, Betty Woodman. Per la prima volta le due grandi artiste americane Kiki Smith e Betty Woodman sono invitate a esporre, insieme, smith-and-woodmanle loro opere negli spazi di vicolo dei Catinari. Una doppia personale con arazzi, sculture, ceramiche, dipinti e disegni.
Fino al 12 novembre

Gavin Brown Entreprise: Jannis Kounellis: Dodecafonia Nella chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphis, in via dei Vascellari, il gallerista riprende il suo discorso con il pittore e scultore di origine greca Jannis Kounellis, uno dei massimi rappresentanti dell’arte povera. Potenti opere interagiscono perfettamente con l’ambiente lasciato indenne.
Fino al 29 ottobre

Gagosian Rome: Adriana Varejão, Olympic Aquatics Stadium Rio. Con i suoi gagosiandipinti di "grandi piastrelle" rese su tela in gesso e pittura ad olio, Varejao, uno dei più famosi artisti viventi del Brasile, allude al collegamento del Brasile con il Portogallo attraverso il commercio e la colonizzazione.
Fino al 10 dicembre
 

Ex-Elettrophonica: Margherita Moscardini. “ATLAS. On the Human Condition, Places and Times”. ex-eletrophonicaL’artista si appoggia, per costruire il suo lavoro, agli scritti di Arendt e, con disegni di folle e piccole statue, rivendica gli spazi pubblici e gli ridà tutto il loro senso.
Dall’11 ottobre al 20 dicembre 2016.

Galleria del Cembalo: “Identità Negate. Lingering Ghosts” di Sam Ivin e “Foibe” di Sharon Ritossa. "Con "Lingering Ghosts", Sam Ivin ha cercato di cembaloesprimere con le sue immagini il senso di perdita di sé e di insicurezza sul proprio destino che accomunano i richiedenti asilo nel Regno Unito. Con "Foibe", Sharon Ritossa è partita dalla particolare conformazione geologica del Carso per una riflessione su come questa possa avere avuto ripercussioni sulle vicende sociali e storiche della regione.
Fino al 26 novembre

Valentina Bonomo: Brian Eno: Light music. Con i suoi nuovi lavori, light boxes e speaker flowers, l'artista sperimenta altre forme espressive come scultore, pittore e Bonomovideo artista. Brian Eno, musicista polistrumentista, compositore e produttore discografico britannico riempie gli spazi della galleria con suoni e luci per creare veri "paesaggi sonori".
Fino al 30 settembre

Musei Vaticani . Aperture notturne. Un’opportunità da non mancare che viene proposta ancora quest’anno: 

vaticano“il portone monumentale dei Musei del Papa si schiuderà al tramonto per svelare in una luce inconsueta i tesori millenari delle collezioni vaticane”.
Fino al 28 ottobre

Castel Sant’Angelo Aperture Eccezionali. Il Castello segreto prevede l’apertura eccezionale di un percorso che passa dal Passetto di Borgo, 

castel-sant-angeloper le Prigioni storiche, le Oliare, e poi il cortile di Leone X, il locale detto ‘del Forno’ e la minuscola Stufetta di Clemente VII, cioè la sala da bagno del pontefice, celebre fra l’altro per gli affreschi della bottega di Raffaello Sanzio.
Fino al 20 novembre  


Il pensiero laterale L'ombrello

Tre uomini grassocci cercano di ripararsi sotto un piccolo ombrello, nonostante la loro mole, nessuno però si bagna, ma perché?

Vedete qui...

La Lampadina - Racconti

Continua la pubblicazione dei Racconti de La Lampadina!
Sentitevi liberi di inviarci quanto scrivete, che abbia una lunghezza di quattro, cinque cartelle e noi, dopo una semplice valutazione di opportunità, pubblicheremo ciò che ci proponete.

Oggi vi proponiamo una scritto di Isabella Confortini Hall: Improbabile

Qui le prime righe e poi continuate la lettura sul sito, in tutta tranquillità, oppure, sempre dal sito, cliccate sulla piccola icona verde alla fine del racconto, stampate la pagina e.. buona lettura!


"Era estate, una giornata cocente. Ritornando a casa passai con mia sorella davanti al portone di un palazzo. Non so se lei abbia battuto di proposito un colpo contro il portone o per distrazione, o se fece soltanto l’atto col pugno e non abbia picchiato affatto."

No, no, e poi ancora no! Nessun senso, impersonale. Quale sorella? E quale portone? Ma che razza di incipit... niente da fare. Non può inventare di sana pianta. Ci deve essere una scintilla di realtà. Di nuovo un foglio accartocciato gettato nella carta da riciclare. Sindrome da pagina bianca.
E dato che invece nella vita tutto torna e si insegue in un gioco di specchi, eccolo quel colpo al portone, reale e tempestivo, giunto in tempo a levarla d'impaccio. Non si sarebbe dovuta dare per l'ennesima volta una scusa, una giustificazione per l'incapacità di vergare parole sul foglio bianco, intonso e impaziente. Parole che non atterravano mai, si limitavano a volarle nella mente rapide e inafferrabili, come i sogni del mattino presto. A occhi chiusi riusciva a fermarne qualche particolare, qualche fotogramma e poi più nulla.

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La Lampadina ::: Periodiche illuminazioni
Newsletter di fatti conosciuti ma non approfonditi, luoghi comuni da sfatare, semplici novità.

La Lampadina è una newsletter ideata da Carlo Verga, gestita da un Comitato di redazione composto da: Filippo Antonacci, Isabella Confortini Hall, Lucilla Crainz Laureti, Marguerite de Merode Pratesi, Ranieri Ricci, Carlotta Staderini Chiatante, Lalli Theodoli, Beppe Zezza e redatta con la partecipazione di: Lorenzo Bartolini Salimbeni, Renata Ferrara Pignatelli, Giancarlo Puddu e Angelica Verga. La sede è in via Castiglion del Lago, 57, 00191, Roma.

La newsletter, di natura non politica, non ha scopo di lucro e si propone di fornire - con frequenza inizialmente mensile - "periodiche illuminazioni" su argomenti di vario genere, con spunti di riflessione e informazioni. L'invio viene effettuato su segnalazione degli stessi lettori, agli amici ed agli amici degli amici. il presente numero è inviato a circa duemila persone. Sono gradite da chiunque le collaborazioni e le segnalazioni di persone interessate a ricevere la newsletter.
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