ASTRONOMIA: Trappist-1, che emozione!

Grande risalto mediatico ha avuto nei giorni passati la notizia della scoperta di 7 pianeti “simili” al nostro trovati non troppo lontano da noi, nel sistema solare Trappist-1 (il nome, acronimo di  Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope, poco a che vedere con i monaci trappisti, cistercensi di stretta osservanza, anche famosi produttori di birra molto famosa in Belgio, tranne il fatto che sia stato scelto da scienziati belgi!).
Subito si è scatenata la fantasia: “Non siamo le sole creature viventi nell’Universo. Chissà che meraviglia quando “potremo” raggiungere quei pianeti e scoprire se ci sono anche creature intelligenti, se la civiltà locale sarà più o meno progredita della nostra ecc ecc.”
Un inciso: sempre mi meraviglia il fatto che nei discorsi comuni si usi la prima persona plurale “andremo”, “vedremo” etc quando cosa assolutamente certa è che, se anche questo avverrà mai, sarà al di là del nostro orizzonte temporale limitato, ahimè, a qualche anno o decina di anni al massimo. La cosa deve avere un substrato “psicologico” e rivelare il desiderio inconscio e profondo che abbiamo di una vita illimitata!
E’ necessario buttare un po’ di acqua sul fuoco della eccitazione prodotta dalla notizia.
In primo luogo bisogna sapere che questi 7 pianeti non sono affatto i primi orbitanti attorno a una stella a essere scoperti: ne sono già stati catalogati ben 3583 ai quali se ne devono aggiungere altri possibili 2410 (dati della Extrasolar Planet Encyclopedia).

Ma non basta: la Nasa calcola che nell’Universo ci possano essere ben 100 miliardi di “esopianeti” (così vengono chiamati i pianeti esterni al sistema solare) dei quali almeno 40 miliardi con caratteristiche paragonabili a quelle della nostra Terra (come composizione, dimensione e distanza dal sole).
Che in uno di questi pianeti, anche con questi numeri che ci appaiono enormi, ci possa essere “vita”, è possibile ma per nulla certo. (Il numero di 40 miliardi certamente ci impressiona ma forse non ci rendiamo conto ad esempio che il nostro corpo è costituito da (si dice) circa 100 mila miliardi di cellule).
Qualcuno si è preso la briga di calcolare quale sia la probabilità della esistenza di una vita aliena: c’è chi ha elaborato una formula (la formula di Drake) per calcolarla, altri invece affermano che le condizioni perché sia possibile la vita sono talmente tante da rendere la cosa quasi certamente impossibile. Mah!

I pianeti scoperti non sono “troppo lontani da noi”: solo 39,5 anni-luce cioè circa 3,74 x 17 m (l’anno-luce è una unità di distanza e rappresenta la distanza che la luce – radiazione elettromagnetica – percorre nel vuoto nel tempo di un anno 9,461 × 1015  m).
Con l’attuale tecnologia la massima velocità raggiunta è di 2,65 108 m/h.
Il tempo che si impiegherebbe viaggiando a questa velocità sarebbe dunque di circa oltre 160 mila anni. (Per avere un termine di raffronto, i primi fossili di “homo sapiens” – la nostra specie – trovati sulla terra sono stati datati circa 44.000 anni).

In altre parole: a meno di scoperte sensazionali, come il “teletrasporto” ipotizzato dalla saga di Star Trek, il raggiungimento di questi pianeti è fuori della portata dell’uomo.
Penso che ce ne dobbiamo fare una ragione: l’uomo è confinato entro limiti assai più angusti!

Più si allargano le nostre conoscenze, più conosciamo dell’universo che ci circonda più ci rendiamo conto della nostra piccolezza e più dobbiamo essere meravigliati di esistere, di potere elaborare dei pensieri, di potere provare delle emozioni, di poterci commuovere davanti a un tramonto o al sorriso di un bambino, di poter stabilire delle relazioni con altri esseri umani.
Fantasticare su altri mondi? Forse è una perdita di tempo

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Clemente Maraini
14 Maggio 2017 15:56

Mi sembra tutto molto sensato. E anche utile. Perché l’Autore spiega la fatuità di strologare sulla vita aliena (almeno con i dati sulle possibilità, che ci sono oggi, di venire in contatto con essa). Questa la mia modestissima opinione. Complimenti!