COSTUME – Di passaggio o stanziali?

Articolo di Lalli Theodoli

In treno. A pochi minuti dall’arrivo in stazione, uno sguardo fuori: case altissime con tanti terrazzini, tutti uguali: sfogo esterno di quelli che paiono mille appartamenti.
I terrazzini, strutturalmente identici, appaiono, in realtà, diversissimi fra loro.
In uno è montato un vecchissimo condizionatore arrugginito: immagino il rumore.
In un altro due brutte seggiole di plastica fiancheggiano un tavolo: praticità essenziale.
Un terzo è invece pieno di vasi da cui escono gerani, piante rampicanti, alberelli. Lo spazio è insufficiente e le piante invadono i terrazzini confinanti, si arrampicano al piano superiore, cadono con una cascata fiorita al livello sottostante. Una oasi di verde in una facciata assolutamente anonima.

Chi li abita? Famiglie numerose, singoli disordinati, coppie illegali?
Il primo, qualcuno che lavora tutto il giorno e torna a casa stanco e solo. Accende un po’ di frescura e si mette a dormire. Nemmeno uno sguardo all’arredamento essenziale nell’interno. Un appartamento dormitorio. Non sarà questa la sua casa. Spera e lavora per qualcosa di più e di meglio. Non perde tempo per abbellire un nido assolutamente provvisorio. Il futuro è altrove. Nessun amico in visita a pranzo. I fornelli tuttora nuovi. Per lui un pacchetto del supermercato. In un minuto ha mangiato e buttato via la carta che avvolgeva un pezzo di pizza e un po’ di formaggio.
Il secondo abitante arriva in tempo per aprire un giornale e leggere fuori, ogni tanto uno sguardo all’orizzonte. I piedi sulla sedia di fronte. Una casa senza fronzoli ma in cui sta a suo agio. Nel piccolo salotto, su un tavolo, una serie di depliant di immobiliari. Ne ha già guardati tanti. Prima o poi troverà la casa, quella giusta. Ma intanto, per quello che sarà il periodo, si mette comodo. Una Tv di fronte ad una poltrona. Una cucinetta funzionale. Tutto in ordine. Nulla di più nulla di meno: essenziale.
Il terzo abitante ha conquistato la sua casa a fatica. Un mutuo pesante. Fatica economica per la ristrutturazione pur ridotta al minimo indispensabile. Ma è SUA finalmente. Si aggira per le sue stanze soddisfatto ma con mille progetti di miglioramenti. Un divano nuovo, le tende che ha visto da Ikea, un nuovo lavello e un letto addirittura con una specie di baldacchino. Il terrazzo è la sua gioia. Gira per i vivai chiedendo di piante con la giusta esposizione, non troppo delicate. Lavora non ha troppo tempo. Ma i suggerimenti hanno reso piano piano il suo terrazzo qualcosa che lo riempie di gioia e di orgoglio. Quando torna a casa e alza lo sguardo sul palazzone che ora è la sua casa, vede con orgoglio quella oasi di verde lussureggiante che spicca gioiosa nel grigiore della facciata. Appena rientrato dal lavoro non vede l’ora di munirsi di forbici e zappetta per curare il suo piccolo Eden.
Tre appartamenti uguali, tre diversi modi di viverli.
Uno di passaggio e non contento, uno di passaggio in ottimistica attesa di meglio, il terzo felicemente installato.
Ad Accumoli, che, due anni or sono, ha subito gravissimi danni per il sisma, è stato creato un piccolo centro di casette prefabbricate, alloggio di tante famiglie che per il terremoto hanno avuto lo sgombro forzato dalle loro vecchie abitazioni. Tutte dotate di un portico, ma…
Alcuni portici sono rimasti vuoti. In uno troneggia uno stendino pieno di roba ad asciugare, un altro è pieno di giochi per bambini, un terzo pieno di piante e fiori, di rampicanti che già hanno coperto la struttura e ripiovono pieni di colore.
La lettura qui può essere ben diversa.
Stendino e giochi per bambini: strutture che in un baleno si trasportano via dall’abitazione precaria per ritornare a CASA. Quando? Non si sa. Ma quel tanto, si spera, che non richiede di mettere radici. Il non abbellire sottolinea la provvisorietà percepita dagli abitanti: se ne andranno via presto. Non è qui che continueranno ad abitare.
Il portico invece pieno di fiori, di vasi. Vuole dire: ”Sto qui, non so per quanto tempo, ma voglio starci il meglio possibile, voglio in questa casetta i fiori che avevo nel terrazzo della vecchia casa che amavo e che ora non c’è più. Voglio sentire il profumo che sentivo tornando dal lavoro, e per questo fatico ogni sera piantando e trapiantando e potando. Sogno, non di meno, la mia vecchia casa ricostruita in tempi umani nel paese che è stato da sempre il luogo amato della mia famiglia. Ma intanto questo prefabbricato, in cui troneggiano i pochi oggetti cari salvati e a fatica recuperati dalla distruzione, avrà il calore di una vera casa, dato che è probabile che mi ci dovrò fermare e a lungo”.

Subscribe
Notificami

4 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
Aessandra Cardelli
28 Agosto 2018 23:16

Cara Lalli, leggo sempre il tuo pezzetto. Mi piace.
E’ leggero, acuto, umoristico e pieno di umanità.
Penso anch’io, come Anna Sanfelice che dovresti
farne una piccola raccolta …

Anna Sanfelice Visconti
4 Luglio 2018 17:10

Da tempo sostengo che bisognerebbe raccogliere le note di costume che Lalli ha scritto su La Lampadina…

Manù Selvatico Estense
3 Luglio 2018 19:33

Confesso che , quando ricevo la Lampadina, la prima cosa che faccio é di andare a leggere l’articolo di Lalli Theodoli perché so che lo amero’: é vivo, vero e ironicamente profondo! Eh si, anche noi lettori abbiamo le nostre preferenze! Grazie Lalli!
In compenso sono in pieno disaccordo con lo “strafiletto” di Carlo Verga a proposito dei presupposti risultati sui vincitori della Coppa del Mondo! Ammesso che, vista la vergognosa non partecipazione dell’Italia, tutto sommato la cosa m’interessa assai poco, posso dire solo in tutta sincerità: “per carità che non vinca la Francia”!!!

Carlotta Staderini
3 Luglio 2018 16:29

Lalli, hai centrato il punto. È proprio così! Di grande sensibilità il tuo racconto.