COSTUME – Ospedali

Possiamo, anzi siamo capaci nella vita di mentire a noi ed agli altri. Facciamo finta di essere felici quando non lo siamo, di essere scevri da preoccupazioni quando ne siamo attanagliati, di fingerci affettuosi quando siamo totalmente indifferenti.
C’è al mondo però un luogo in cui non si mente. Non si mente perché prioritario non è l’apparire, quale che esso sia, ma lottare contro ansia, paura, preoccupazione. Negli ospedali, luoghi di chiara sofferenza, non è pensabile mentire su noi stessi.
In una stessa stanza, in due letti due persone più o meno della stessa età reduci da operazioni simili. L’una fin dai giorni precedenti ha borbottato contro il cibo, la rozzaggine delle infermiere, la scomodità del letto, la mancanza di attenzione da parte del personale medico. L‘altra diceva che sì, certamente, aveva mangiato altrove cose ben più buone. Il letto, beh, quello di casa era certamente meglio, il personale era molto troppo preso per poter accorrere velocemente, ma tutto era pulito ed efficiente. Tanti “ GRAZIE” sorridenti  a chiunque venisse ad occuparsi di lei.
Dopo l’operazione. La prima un lamento continuo ad altissima voce implorando tutti i santi del cielo e maltrattando la povera parente che cercava di alleviarne le sofferenze. La seconda solo molte silenziose smorfie di dolore. Due uguali operazioni. Due diversi modo di affrontarle.

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Margherita, che, praticamente, vive nell’ospedale, si dà molto da fare in cambio della inusuale ospitalità. Donna da sempre attiva nella vita, con miriadi di figli e nipoti che ha seguito con molti “fatti” e meno parole, pulisce i davanzali delle finestre del reparto con una solerzia commovente. Trascina catini pesanti di acqua, lavora e canta. È grata al fabbricato che la ospita per cui se ne prende cura come può. Quando le chiedo se non teme che le inservienti si secchino per la sua intromissione mi guarda stupita e “Ma cche dici Ni? So’ contente!!! Ce contano anzi!” Cantando a voce ancora più spiegata continua energica il suo lavoro.

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Nel reparto arriva una gran signora. Mi chiede, a me che sono ospite da qualche giorno, alcune informazioni, ed io rispondo a quanto mi chiede ma le raccomando, inoltre, di tenere un profilo basso.

 La gente che la circonda è gente molto semplice e non vorrei che la prendessero storta. Mi ascolta con attenzione. Non  riceve visite. Non vuole pesare su nessuno ed un po’ anche non vuole che la sappiano in ospedale invece che in una clinica costosissima che oramai da tempo non può più permettersi. Condivide con me le amiche ed i parenti che mi vengono a trovare. Discreta nella vita “fuori” lo è ancora di più nella vita di ospedale. Ma il giorno dopo il suo arrivo, la nostra stanza sembra ospitare una festa. Da quel che vedo, tutte le occupanti delle altre stanze si sono riversate intorno al letto della Gran Signora.

Non mi ha minimamente ascoltato. Lei anche “fuori“ non ascolta mai nessuno. Sta lì che racconta della villa in cui viveva bambina con tre cuochi, la nurse, uno stuolo di servitù, i giardinieri, parla di balli da mille ed una notte illuminati da mille candele… e tutti la ascoltano incantati come da una fiaba. Per tutto il tempo che passerà all’ospedale ci sarà una processione di pazienti che vogliono sapere ancora, e ancora, di una vita che sembra loro inventata. Mi ero totalmente sbagliata. Non fastidio per una vita agiata che non hanno conosciuto, nessun odio per una classe un tempo tanto ricca di privilegi: solo ma una grande innocente infantile curiosità.
Arriva una giovane madre. Ha subito nel passato parecchi dolorosi interventi. Era una fifona di tutto, di guidare, dei treni, di cosa avrebbe potuto accadere al marito, dei pericoli per i figli, delle operazioni che aveva dovuto subire. Negli intervalli della malattia i figli la scongiuravano di portarli sulle montagne russe, ma, terrorizzata, con un enorme dispiacere, non riusciva ad accontentarli. Ora carambola serena sul KATUN  di Mirabilandia: una delle più spaventose esperienze che si possano affrontare. “Non ho più paura di nulla”, dice, ”il giro della morte l’ho già fatto qui, ora li accompagno senza alcun timore.”
La sera si trascinano tutti i letti nella stanza della TV. Alcune stanno troppo male per guardarla ma non vogliono restare isolate. Il programma televisivo passa in secondo ordine. L’importante è stare insieme, consolarsi a vicenda, incoraggiare chi ha una paura matta dell’operazione del giorno dopo. Chi l’ha già superata sorvola sui dolori atroci che ha subito, anzi sorride incoraggiante.”Non è nulla, vedrai” dice conscia dell’entità della menzogna. Ha sempre rassicurato serena i suoi familiari in difficoltà e continua a farlo per  quanti le stanno intorno.
La comprensione, la solidarietà affiorano di continuo. La parrucchiera aggiusta i capelli alla ragazza che aspetta molto preoccupata la visita del fidanzato, mentre l’estetista mette un po’ di rosa sulle sue guance pallide. Si guarda allo specchio. Ora è più tranquilla.
Al momento di tornare a casa ci abbracciamo tutte con commozione. Sappiamo oramai molto ognuna dell’altra. In pochi giorni si sono creati dei legami che la vita certamente disperderà, ma non il ricordo di tanta umanità forte anche nella sofferenza.

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4 Commenti
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Francescaromana Pugliese
8 Giugno 2019 10:41

Quanto è vero questo articolo! La vita in ospedale è un’esperienza che ti fa del bene, che ti fa capire l’importanza di alcune cose rispetto ad altre che fino ad allora ti sembravano fondamentali e soprattutto ti insegna quale meraviglia sia l’essere umano

Flaminia Kojanec Carafa d'Andria
5 Giugno 2019 15:53

Chi si sia trovato a frequentare un ospedale riconoscerà l’umanità , la sofferenza, la speranza e la dedizione descritti in questo articolo, dove anche l’aspetto più frivolo e mondano della vita assume un carattere positivo aiutando le menti di chi soffre a distrarsi ed alleggerirsi per qualche tempo.
Grazie!

Franca Pignatelli
5 Giugno 2019 10:43

Ho letto questo articolo che parla di grande forza, coraggio, sofferenza e comprensione nello stesso giorno in cui i giornali del mondo parlano di una ragazza di 17 anni che aveva deciso di morire perchè aveva perso la speranza.
Grazie mi sento un po meno triste.

Francesca Theodoli
3 Giugno 2019 16:38

Commovente e vero.