La Lampadina – Weekly Newsletter Soci del 14 Aprile 2020

La Lampadina – Weekly Newsletter Soci del 14 Aprile 2020

Cari Soci,

un anno unico questo, il 2020, che certo ci ricorderemo per tante stagioni a venire. Oggi possiamo solo augurarci un veloce recupero per il benessere di tutti.
Noi della Redazione, vorremmo essere vicini a tutti Voi con una news letter settimanale, – oltre alla nostra storica mensile -, dove ognuno di noi racconterà qualcosa, magari dei lati positivi di queste permanenze casalinghe, fatti che ci hanno particolarmente colpiti, iniziative prese da tanti volenterosi, notizie apparse sui giornali che diano spunto a meditazioni particolari, e quant’altro possa essere di interesse comune, ma non trito e ritrito dai social. Qualcosa che derivi direttamente dall’esperienza di ciascuno di noi.
Per quanto possibile ci farebbe molto piacere il Vostro punto di vista su gli argomenti che andremo ad affrontare per uno scambio di opinioni e un approfondimento che potremmo attuare con i commenti.
Il nostro obiettivo è anche quello di avere da Voi segnalazioni di casi di particolare interesse, o Vostre iniziative intraprese grazie a questo periodo, o fatti curiosi che Vi possano essere capitati.
Grazie per l’attenzione con la quale sempre ci seguite e buona lettura.
Carlo

 

Martedì 14 aprile 2020, a te la nostra pagina di oggi, preparata da Carlo e Simonetta.

L’altra mattina leggo sul “Corriere della Sera” la rubrica “Il caffè di Gramellini”.
“Nei manuali di Hollywood lo scrittore viene invitato a saggiare l‘efficacia dei suoi personaggi, immaginando di disporli intorno ad una tavola e poi di lasciar cadere un bicchiere. Solo quando ogni personaggio reagisce in modo diverso da gli altri il cast potrà dirsi completo e lo scrittore verrà autorizzato a sviluppare la sceneggiatura. Nell’inedito di Pasqua i personaggi attorno al Tavolo siamo noi e il bicchiere il corona Virus. Da questo Incipit, potete capire come escono 1000 fatti e strane storie del tutti insieme “appassionatamente”, storie, molte tragiche, e altre divertenti.” 

 

Uno dei personaggi intorno al tavolo oggi potrebbe essere Simonetta che così ci descrive uno stato nel quale ci ritroviamo forse un po’ tutti…

L’attesa…una domanda sospesa nell’aria.
Quante volte ognuno di noi ha desiderato una risposta immediata. L’attesa snervante che dilata il tempo.
La tensione che non ci fa applicare ad altro perché la nostra mente è ferma in attesa dell’agognata risposta. È quello che stiamo vivendo.

Avere una vita diversa dal nostro consueto ci fa avere modalità di tempo differente. Facciamo meno, e quel poco più lentamente. Sembra impossibile ma le giornate scorrono veloci forse più di “prima” perché dilatiamo il tempo.
La domanda nella nostra mente rimane latente. Allunghiamo i tempi: ci occupiamo dalla nostra persona con più attenzione e più cura. Leggiamo, ordiniamo, ritroviamo progetti accantonati.
Il telefono ha un uso diverso. Pronto… come stai? Non è un intercalare, è una domanda di reale interesse. Riproviamo il piacere di una conversazione con un amico o amica, non frettolosa o velocemente portata alla conclusione e al saluto. Risentire una persona persa da qualche tempo assume lo spessore di un ritrovarsi dopo una situazione di pericolo. E proprio questo… viviamo tutti lo stesso problema, la stessa ansia che ci avvicina.
L’attesa è la stessa, quell’ansia da cui vorremmo uscire o comunque sapere “per quanto tempo dovremo aspettare una risposta” ci accomuna e ci avvicina. Abitudini diverse, interessi opposti, ritmi e usualità differenti si vanno omologando in un unico sentire.
Ci sentiamo più uniti, siamo tutti nella stessa barca e tutti ci auguriamo di non andare alla deriva. Il nostro vicino è l’essere con cui condividiamo l’attesa e l’agognata risposta.

Alla prossima.

La Redazione concorda:

“L’attesa è una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio.
La realizzazione dell’attesa è una freccia che oltrepassa il bersaglio.”

Søren Kierkegaard

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16 Aprile 2020 20:02

Mi ha fatto riflettere un’intervista ad una famiglia di immigrati, credo in Lombardia. Moglie, marito e tre figli vivono in 40mq e alla domanda “come se la passavano durante questo confinamento”, la moglie ha risposto che si ritenevano fortunati..di avere un alloggio. Tutto è relativo.
Io sono un privilegiato…non dico fortunato per scaramanzia (sono napoletano). Più che al terrazzo, alla cyclette, all’edicola sotto casa e a varie altre comodità, io attribuisco la mia serenità attuale all’abitudine a stare in attesa… nell’attesa del dopo.
Figlio unico di genitori mondani, aspettavo che i miei genitori tornassero a casa prima di addormentarmi. Vivo a Roma e da tanti anni ormai aspetto il weekend per vedere la mia compagna che invece abita in Puglia. Prima aspettavo di rientrare a casa da lunghi viaggi di lavoro. Quando ero a Londra aspettavo i weekends per vedere i miei figli che vivevano a Roma con la madre.
L’attesa stimola la fantasia. Naturalmente, come credo tutti, leggo e scrivo più di prima. Ho ripreso a far ginnastica e ciò mi fa perdere circa 12,5 grammi di peso per ogni due chili che prendo perché sto anche imparando a cucinare. Ma ciò che fa scorrere le giornate anche troppo velocemente è sognare, fare progetti, organizzarli, in attesa di realizzarli.
Cerco alberghi carini in posti che non conosco ancora o dove vorrei tornare. Pregusto viaggi per andare a trovare persone sparpagliate per il mondo, alcune delle quali non sentivo da anni…e altre che magari conoscevo pochissimo, ma che in questo frangente sono improvvisamente diventate il filmato della mia vita, di un passato seppellito dalle tante attività, dalla corsa in avanti. Un filmino Super 8, di quelli con cui si massacrano di noia i malcapitati amici, ma tanto cari a noi stessi. Parlo con persone che mi raccontano degli ultimi 30 o più anni da cui non ci sentivamo. Botte di vita!
Nell’inevitabile segmentazione del rientro alla normalità, fra le varie proposte, si è ipotizzato che gli anziani potrebbero essere gli ultimi ad uscire di casa, forse soltanto a fine anno. Improvvisamente mi sono reso conto di farne parte! Naturalmente, nei paesi che conosco, prima o poi si diventa vecchi, …ma ce ne vuole prima che ti diano del “vecchio”. In Italia invece, all’improvviso, senza avvisaglie, ti danno dell’ “anziano”, questa parola orrenda, questo termine intermediario che fa pensare al grigio, agli umarell, all’inattività, all’esclusione… e non ancora ai bei capelli bianchi, ai nipotini e alla saggezza. Ancienneté in Francese indica gli anni di servizio e l’inglese “ancient” si riferisce all’antichità.
Mi auguro che questo periodo passi prima di ritrovarmi “vecchio” e senza poter realizzare sogni e progetti che per adesso mi aiutano a restare di ottimo umore. Proprio così.
Gustavo

Sveva Gilardini
15 Aprile 2020 19:03

Cara Simonetta, caro Carlo,
sì questa è certamente un’esperienza particolare. Il tempo si dilata è vero. Molte sono state le iniziative intraprese on line. Lo yoga continua con la maestra e la classe di sempre, imparo il Tai Chi grazie ad un’amica che si presta ad insegnarcelo con molta professionalità e pazienza perché siamo in 30 amiche, ci si incontra tra amiche su un tavolo di bridge virtuale, si provano piatti nuovi, si guarda la natura, si respira un aria più pulita…ok ma due sono le cose che considero importanti:
– il senso della morte che era sparito dalla nostra società. Normalmente passo tre mattine a settimana in un Hospice quindi la morte mi è vicina ma scopro che così non è per tutti. Era un avvenimento che la nostra società aveva scartato, eravamo immortali …dover sembrare giovani, belli, sportivi era un must! Ora invece è un argomento di cui si parla e con il quale ci si confronta anche se si sta bene. Le immagine dei camion militari che portano dei morti senza sepoltura al cimitero, le fosse comuni di NY, le bare di cartone dell’Honduras…tutto ciò ci tocca ora da vicino. Abbiamo acquisito la coscienza che non siamo qui su questa terra per sempre.
– la seconda impressione è che ci sia una presa di coscienza del “nostro” tempo: quante cose inutile facevamo, quante cose inutili compravamo, quanta gente si frequentava che non ci importava e quanto poco si godeva di tutto ciò!
Queste le mie impressione di questa clausura, che, se stiamo bene in salute ed economicamente (perché il vero guaio è la povertà che ci circonda) ci farà solo un gran bene. Un abbraccio
Sveva

15 Aprile 2020 15:39

Cari amici,

il Corriere della Sera è il quotidiano che leggo da quando avevo 16 anni (ora ne ho 81), e ovviamente solo nella versione cartacea perché amo sfogliarne le pagine.

La rubrica “Il caffè di Gramellini” da voi citata è molto interessante perché affronta con spirito i temi di attualità.

L’articolo menzionato, apparso in prima pagina sabato 11 aprile, giorno della vigilia di Pasqua, ha attirato anche la mia particolare attenzione, ed ho trovato la riflessione sui personaggi attorno al tavolo molto azzeccata.

E’ verissimo, in particolare, che il telefono, nei frangenti attuali, ha un uso diverso: riproviamo il piacere di conversare con amici e con parenti da tempo tralasciati, ed anche quello di inviare loro messaggi di posta elettronica, soprattutto per scambiarsi impressioni sulla pandemia in corso.

Io, per esempio, ho scritto ai miei collaboratori di quando ero Ambasciatore a Hanoi in Vietnam nei primi anni di questo millennio, commentando con loro le analogie tra l’attuale epidemia di Corona virus e quella di Sars che funestò quel Paese nel 2003 e causò molte vittime, a cominciare dall’amico Dr Carlo Urbani, di Medici senza Frontiere, che per primo lanciò l’allarme e così consentì a molti stranieri di rimpatriare e perciò di salvarsi. Fu un vero eroe, e giustamente il Presidente Ciampi gli conferì, a titolo postumo, una Medaglia d’Oro mentre il Governo del Vietnam insignì la vedova dell’Ordine dell’Amicizia, la massima onorificenza di quel Paese, mai prima di allora concessa ad uno straniero.

Essendo mia nonna materna di nazionalità argentina, ho anche sentito il bisogno di ricercare alcuni lontani cugini residenti a Buenos Aires, mai sentiti in passato, ed avendone trovato il numero di telefono su una vecchia lettera indirizzata, anni fa, alla mia defunta madre, ho conversato con loro al telefono, per la prima volta nella vita.

Infine sono stato ripetutamente in contatto per mail coi cinquanta colleghi ed amici del Concorso Diplomatico del 1967, avendo superato il quale fummo ammessi alla Farnesina: e ciò tanto più che avevamo previsto di rivederci e fare colazione tutti insieme al Circolo degli Esteri nel prossimo mese di giugno, evento che, ovviamente, è stato annullato.

Per concludere, cari amici, ho comprato due tricolori e gli ho esposti sulla terrazza di casa, prospiciente Piazza del Popolo, ove sventolano in segno di speranza e soprattutto in omaggio ai medici, agli infermieri, ai farmacisti, ai volontari, ai Carabinieri, ai Poliziotti, ai militari e a quanti si sacrificano ogni giorno per la vita di noi italiani.

#MA CE LA FAREMO !

Un abbraccio…a distanza da Luigi

Reply to  Isabella Confortini Hall
15 Aprile 2020 16:02

Caro Luigi ho letto la tua email e sono rimasta molto toccata dalle tue parole. Mi ha commosso il tuo voler riallacciare dei rapporti con i tuoi parenti in Argentina ed i tuoi collaboratori di tanti anni di tanti trascorsi insieme. Questo è il senso di precarietà e di unione che tutti proviamo.
Ho sentito nelle tue parole affetto, nostalgia e preoccupazione.
Grazie di averci fatto partecipi del tuo sentire.
Un abbraccio affettuoso anche a Patricia.
Simonetta

Reply to  Isabella Confortini Hall
15 Aprile 2020 16:45

…prendo ad esempio l’idea di Luigi metterò il tricolore sul pennone più alto di Palazzo Vecchio e sarà un segnale di forza e di speranza e come indica lui un doveroso omaggio a chi ogni giorno si sacrifica per il bene della nostra vita
Marco

14 Aprile 2020 17:02

Condivido specialmente la sensazione del tempo. Incredibile pensare che è più di un mese che siamo qui bloccati, senza sapere quanto ancora durerà. Le giornate, più o meno sempre uguali, passano subito.
Sono stata contattata da persone in ogni parte del globo che volevano sapere come stavamo, così è stata anche un’occasione per risentirci. Ad alcuni cui non ho risposto subito si sono preoccupati: già pensavano che mi fosse successo qualcosa.

Cosa ho fatto? Ho creato un logo e un sito per una associazione che sta nascendo.
Ho fatto ordine nella casa e nella mia testa.
Ho fatto spille e orecchini con bottiglie di plastica.
Ho giocato e ballato con i miei nipotini con la musica a palla.
Cosa farò appena si tornerà in giro e quest’anno:
– spese alla grande in tutti i negozi scegliendo prodotti italiani
– viaggerò in lungo e in largo solo in Italia
– sottoscriverò azioni o altro per sostenere lo Stato italiano.
Basta che non ricomincino subito a litigare…

Renata
14 Aprile 2020 15:13

Forse avremo difficoltà a tornare alla “vita di prima”. Forse, chi questo periodo lo ha trascorso serenamente, ne avrà perfino nostalgia. Ma l’attesa, quel “tempo sospeso”, è vero, ci porta l’ansia dell’ignoto.