ABBIAMO OSPITI/ATTUALITÀ – Il virus delle “rovine eterne”

Articolo di Emanuele Ludovisi, Autore Ospite de La Lampadina

“Il trionfo della demagogia è momentaneo, ma le rovine sono eterne” scriveva oltre un secolo fa lo scrittore francese Charles Peguy.
Esiste difatti un virus invincibile, incurabile, per il quale non sarà possibile trovare un vaccino per sconfiggerlo in modo definitivo ma solo una terapia per arginarne gli effetti devastanti che nei secoli puntualmente si ripresentano: la competenza.
La storia, quasi sbeffeggiando il difficile percorso del genere umano, talvolta sembra divertirsi creando delle singolari coincidenze: un benessere troppo spesso non equamente distribuito, l’affacciarsi nel sistema economico internazionale di nuove potenze globali, il fenomeno di migrazioni bibliche dalle aree più povere a quelle più ricche del mondo, lo strapotere della finanza, i crescenti rischi ambientali.
Queste coincidenze hanno finito nel mondo occidentale per produrre da un lato l’illusione di un’esistenza al riparo definitivo degli affanni, dall’altro un sentimento di malessere e scontento che ha finito per creare una generale sfiducia di quelle stesse masse nei confronti delle classi dirigenti e delle loro competenze. Il cortocircuito malefico si è consumato su questo fatale equivoco che il fallimento della classe dirigente equivalesse al fallimento delle competenze indispensabili per guidare sistemi complessi.
Così nell’arco di meno di un decennio, l’intero mondo, ha visto il successo di nuovi leader, di falsi profeti di improbabili eden, imbonitori dalle semplici ricette, menestrelli di fiabe a lieto fine. L’inganno ha trovato terreno fertile e così è cresciuta a dismisura la pianta velenosa del populismo.
Prendiamo alcuni degli slogan più utilizzati che hanno accompagnato l’ascesa irresistibile dell’onda populista nel nostro Paese: uno vale uno, fedeltà in parlamento al mandato di partito, primato della democrazia diretta.
Sono espressioni accattivanti, apparentemente logiche e condivisibili.
La storia tuttavia ci ha insegnato tutt’altro.
Ciascuno di noi, se intellettualmente onesto, ha potuto constatare nel corso della propria vita come di fronte a sfide difficili, a compiti complessi, a ruoli che impongono un impegno che implica responsabilità di governo di sistemi articolati dove è in gioco il destino di una comunità (sia essa economica, scientifica, civile…), servano personalità di grande spessore, forgiate da approfonditi studi, solide esperienze, qualità morali e di leadership.
Una serie insomma di elementi che sono l’esatto contrario della formula populista ‘uno vale uno’, principio corretto sul piano dei diritti ma privo di qualunque senso quando riguarda l’affidamento di incarichi apicali da cui derivano i destini di una collettività.
Veniamo ora alle motivazioni che hanno indotto i nostri padri costituenti a fare della ‘libertà di mandato parlamentare’ uno dei cardini fondamentali della democrazia di una società libera e civile.
Prima dell’avvento dello Stato moderno, possiamo dire prima dello storico spartiacque della rivoluzione francese, i parlamenti erano per lo più luoghi di rappresentanza delle diverse categorie professionali, corporazioni o classi sociali, dove venivano rivolte al regnante di turno le istanze o le suppliche a difesa dei loro rispettivi interessi (di fatto vi era un chiaro rispetto e quindi vincolo del mandato a difendere i solo interessi del mondo che si rappresentava). È solo con la nascita dello Stato moderno che questo principio viene sostanzialmente ribaltato: vi è difatti un ‘interesse superiore’, della collettività, della Nazione, che viene prima di quello dei nostri mandanti che hanno a cuore (…o potrebbero comunque avere a cuore…) le sole istanze della propria parte. Con lo Stato moderno entra in sostanza in gioco una visione più alta dell’etica individuale della rappresentanza che può non collimare con gli interessi particolari di una comunità o di un partito.
Del resto un fatto analogo avviene anche per il diritto societario quando un consigliere di amministrazione di una società è chiamato per il codice a fare una scelta chiara ed eticamente ineccepibile anteponendo gli interessi generali della società amministrata a quelli dell’azionista che lo ha nominato.
Veniamo infine alla ‘democrazia diretta’. Il mito della democrazia diretta è antico quanto il mondo perché nasce con le prime comunità. La storia dell’umanità per secoli è stata regolata da formule primordiali più o meno articolate di democrazia diretta che si riconoscevano poi in sistemi oligarchici, monarchici o tirannici. Lo Stato moderno ha però anche in questo caso realizzato cambiamenti sostanziali per garantire i diritti fondamentali, introducendo dei processi costituzionali di democrazia rappresentativa volti a impedire la manipolazione di collettività attraverso proprio l’utilizzo strumentale di formule di democrazia diretta.
Per intenderci, a titolo di esempio, alla democrazia diretta ricorrevano gli imperatori romani nel circo per decidere il verdetto finale di vita o di morte di un povero schiavo che esercitava pro tempore il mestiere del gladiatore.
Dobbiamo allora chiederci come sia stato possibile che in una società moderna, non medioevale, in cui vasti strati della popolazione possiede un livello alto di istruzione, in cui i sistemi di intermediazione culturale (media, scuole, università, poli di ricerca, istituzioni accademiche) si siano di fatto ignorati i segnali che provenivano dall’emergere dei proclami populisti. E questo senza che s’innestasse una contro reazione in grado di contestare il procedere di un tale degrado culturale.
È stato necessario il funesto avvento nel mondo di un virus vero, il Covid 19, con il suo strascico di morti, di caos, di inefficienze, di superficialità, per smascherare l’altro virus, quello dell’incompetenza populista, dei ‘no vax’.
Tutti dovremmo avere il coraggio di riconoscere la sventurata superficialità con cui in questi anni, in tanti dibattiti pubblici, abbiamo assistito al mancato contrasto di questo attacco alla ‘competenza’ e al ‘valore dell’esperienza’.
Ci può forse essere qualcosa di più ignobile e arrogante di un uomo privo di competenze ed esperienze che vuole farsi re?

Subscribe
Notificami

3 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
Elvira Coppola
13 Maggio 2020 23:32

Uno vale uno é demenziale!!! Il populismo sta investendo di modestia culturale e di improntitudine le decisioni che ci riguardano. Del resto il sovranismo che si propone salvifico presenta altre preoccupanti prospettive. La nostra generazione ha degradato la politica ad una contrapposizione strumentale e fastidiosa. Questa emergenza ha isolato Conte dagli altri. Forse è una fortuna. Ma come cittadini saremo chiamati a sostenere e eleggere una classe politica piu degna. Speriamo di saperla esprimere e di averne l’opportunità.

Beppe
4 Maggio 2020 17:00

Ho letto con interesse l’articolo. Concordo con l’autore che lo slogan “ uno vale uno “ così come è stato utilizzato in questi anni ha mostrato tutti i suoi limiti. Ritengo invece che l’elogio della “competenza” sia anche esso da prendere con le molle. Soprattutto in questo tempo di pandemia abbiamo potuto constatare la “incompetenza” dei “ competenti “ ( non occorre ricordare le dichiarazioni rivelatesi del tutto errate fatte da qualche tecnico, di come esperti si siano contraddetti e via discorrendo ). In altri settori abbiamo già avuto precedentemente la esperienza, da molti giudicata negativa, del governo dei tecnici ecc.
Quanto poi alla forma della democrazia, vero che la “ democrazia diretta “ non è pensabile ma è anche vero che la “democrazia rappresentativa” senza vincolo di mandato come la abbiamo sperimentata in questi anni con il manifestarsi di “responsabili” di vario genere ha mostrato la corda. Come se ne esce?
Io manco della necessaria “competenza” per osare dire la mia in proposito!

Giulietta Micara
3 Maggio 2020 20:07

Ottimo