COSTUME – Il compagno di banco

Articolo di Lalli Theodoli

Mi è arrivato in questi giorni un WhatsApp. Tema: “Parla del tuo compagno di banco”. Svolgimento. ”Il mio compagno di banco è nessuno”.

Scritto con quella faticata calligrafia della prima elementare da cui traspare una tristezza infinita, un vuoto tremendo.

Non ci avevamo pensato. Abbiamo fatto la lista, noi adulti, di tutte le cose che ci mancano in questo periodo. Soprattutto la libertà di decisioni improvvise. Tutto va prenotato, anticipato, scaglionato. Ci sentiamo preoccupati e legati. Non si possono vedere tante cose che abbiamo ignorato per anni, né andare in posti in cui mai come adesso vorremmo andare. Eravamo felici, però, di sapere i ragazzi di nuovo a scuola, anche se con molte preoccupazioni. Quell’insegnamento on line molto faticoso, e mancava totalmente ogni rapporto sociale, tanto necessario per la crescita dei ragazzi. Abbiamo seguito la storia surreale dei banchi monoposto ed abbiamo visto arrivare quelle specie di ufo stretti, senza spazio per i libri, solo una enorme tentazione di usarli come le macchinette a scontro del Luna Park. Abbiamo visto cataste di banchi biposto buttati in attesa di smaltimento e.. troppi pochi ancora in arrivo per sostituirli. Ma a QUESTO non avevamo pensato: il banco monoposto fa scomparire il compagno di banco. Ed ecco affiorano ricordi.

La mia prima compagna di banco…una streghetta. Vanitosissima. Beata lei con capelli lunghissimi (a noi vietati !) e grandi fiocchi coloratissimi in testa. Dove mettere un nastro nei nostri capelli cortissimi? E cattivissima: vietato oltrepassare con il gomito “la parte sua di metà banco”. Strisce e barricate invisibili ne tracciavano i confini, a volte con aggiunta di penne in fila e, durante il dettato, vietato copiare. Si accartocciava su se stessa coprendo il suo quaderno affinché nulla delle sue preziose informazioni venisse passata: guera: due erre? Niente: gniente ? Odiosissima.

Partita poi finalmente per terre lontane e sostituita da un angelo. Prestava il nettapenne fatto dalla sua mamma a casa. Tanti tondini all’uncinetto collegati da un bottone centrale. Oggetto ignoto a casa mia ed essenziale quando dal calamaio, appena riempito dalla suora, si attaccavano al pennino mucchi di robaccia. Dal suo astuccio di legno a due ripiani mi prestava temperino, gomma per cancellare e pennini. Potevo copiare a volontà il suo foglietto settimanale dei fioretti, che, anzi, aumentavo a dismisura: opere di carità 89!!! Rinunce 50!!! Un foglietto settimanale che invogliava la più sincera fra noi a divenire una formidabile bugiarda. Si giocava col cerchio, e a campana a ricreazione. Ci si lasciava felici di sapere che il giorno dopo ci saremmo ritrovate e, di nuovo, nell’ora di ricamo, mi avrebbe aiutata a non arrotolarmi nel mio filo lunghissimo e pieno di nodi. La suora la chiamava “la gugliata del diavolo”. E del diavolo era definita la mano che usavo anche per scrivere: la sinistra. Il diavolo era molto presente nella mia infanzia! La mia pagina di calligrafia era un orrore: pianti infiniti. Lei mi consolava. Anche sua madre era mancina.

Per tutto il percorso scolastico ho sempre avuto “la compagna di banco”. Al liceo, traumatico il passaggio dai banchi lucenti delle suore a quella specie di vecchio pezzo di legno inciso in tutti i sensi, sverniciato e pieno di schegge . Ma accanto sempre LEI: ci si passavano i compiti, ci si suggeriva, si condivideva la merenda sbocconcellata prima della ricreazione, si condividevano ansie terribili per le interrogazioni. Qui vorrei, se potessi, tornare indietro. Quello che ho fatto non lo rifarei. O almeno lo spero. Io ero alla T del registro lei era alla B. Quando, per le interrogazioni, la mano della professoressa scorreva, terrorizzante, in su e in giù lungo il registro, sperando in un aiuto telepatico, io chiudevo gli occhi e, concentratissima, pensavo di riuscire a indirizzarla: BUTTARELLI pensavo, BUTTARELLI. L’ho fatto per tutto il liceo. Lei era così carina, generosa, gentile ed io….orrore! Adesso forse avrei il coraggio di raccontarle del mio tradimento. Forse ce la farei. Se non fossi stata così vile avremmo potuto, allora, combattere ad armi pari per la nostra salvezza perché, informata, lei, a sua volta, avrebbe potuto pensare fortemente “THEODOLI, THEODOLI” e io  non mi sentirei tuttora un verme per un comportamento di tanti anni fa. Agata perdonami.

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