LA LAMPADINA/RACCONTI – La macchina nuova

di Marco Travia

Quelli di noi diversamente giovani si ricordano di quando in casa l’acquisto della macchina era un momento di grande coinvolgimento familiare.
Tra l’altro, era raro sentir parlare di “automobile”, che suonava troppo preciso e, diciamolo, un po’ affettato.
Ebbene, ad eccezione dei pochi che favoleggiavano di papà che improvvisamente si presentavano con il nuovo acquisto fiammante e perciò potevano stupirsene solo a cose fatte, senza menzionare i pochissimi che tacciavano il tutto di assoluta normalità e si pavoneggiavano con un “quando papà vede una macchina che gli piace, entra dal concessionario e se la compra…” Quindi, eccezioni a parte, la macchina era un argomento che coinvolgeva tutti. Si fa per dire, perché il coinvolgimento era limitato a certi aspetti particolari, in quanto parliamo di generazioni in cui le discussioni si risolvevano con un’occhiataccia. Ma comunque la parvenza di una riflessione comune c’era.
In genere si escludevano le familiari, riservate alle mamme, se piccole, come la 500 Giardiniera, eh sì, si chiamava ufficialmente così, perché altrimenti, salvo le famiglie numerose o anticonvenzionali, le familiari facevano “verduraro”, e un po’ era vero, piene di vibrazioni e di rumori strani. Con l’eccezione di qualche Mercedes e di qualche Peugeot, ma siamo già agli anni ’70, la macchina “come si deve” era la berlina.
Non troppo sfarzosa, però, perché non faceva né serio, né abbastanza “per bene”.
E così tutto incominciava a ruotare intorno alla macchina e ai suoi rituali. Dal carico attento per fare entrare tutto nel baule, alle cose sparse che rotolavano sotto i sedili, fino all’aborrita merenda in macchina, che lasciava briciole ovunque.
E d’altronde anche l’uso era quello che era: la casa al mare, tutt’al più con un tratto accidentato per arrivare al cancello; le campagne, con stradine raramente scoscese e comunque tenute con cura, come i fossi e le siepi, del resto. Qualcuno si spingeva a caccia, ma la macchina rimaneva lì, al sicuro nella fattoria, se in riserva, o a bordo strada, ma non si spingeva più in là.
La montagna d’inverno poi era un evento, paragonabile quasi a chiamare un taxi, in genere solo per arrivare alla stazione, per prendere un treno con destinazione lontana, e così tutto si rivestiva di una colorazione di infinito. Ma la montagna, e la neve poi, quelle sì erano sfide. Dal rito dell’antigelo nel radiatore, alla pulizia delle catene, gelosamente custodite in sacchetti di iuta per mantenerle asciutte e non far arrugginire il prezioso ingranaggio ovale con una feritoia a spirale al centro dove far ruotare il perno che così metteva in tensione la catena sul pneumatico (una volta era  il pneumatico e i pneumatici, ma poi in clima di politically correct, è diventato lo pneumatico, sgraziatissimo, e gli pneumatici, roba da non montarli più….). I più coscienziosi addirittura legando i pochi anelli che avanzavano perché non urtassero il parafango, con il caratteristico sferragliamento. Molto invidiati i possessori delle Lancia, facilitati nell’operazione dalla trazione anteriore e dalla possibilità di sterzare le ruote a favore del montaggio delle catene. Addirittura innominabili quelli con le Citroen DS che si sollevavano da sole, gente di altri pianeti, con categorie mentali a parte. Gli alfisti li consideravano guidatori contro natura, dei degenerati.
Comunque tranne questi soggetti particolarmente avvezzi, prima delle Mini le macchine avevano la trazione posteriore e il parafango che elegantemente scendeva a lambire il copertone, per non lasciare intravedere vuoti tra ruota e carrozzeria, rendendo così tutta l’operazione quasi chirurgica.
E il portasci? Perplessità per gli sci fissati sul semplice portapacchi con le cinghie elastiche, che lasciavano un senso di precarietà, ma diatribe tra quelli tutti di gomma, silenziosi ma poco sicuri, e quelli con la struttura rigida, ingombranti, ma più tecnologici.
Insomma, schemi precisi e mentalità prudentemente conformista.
Gli anni ’70, con le loro crisi e i loro pericoli, suggerivano maggiore sicurezza e la Volvo afferra al volo la tendenza sdoganando anche per i giovani le sue tradizionali familiari, ormai internazionalmente station wagon, che dall’America all’Europa conquistano anche gli Italiani, orgogliosi e sicuri, con il portellone annerito dagli scarichi del motore diesel, lasciati aperti per ottenere qualcosa in più da motori poco più che sedentari.
La scuola di pensiero prescrive automobili semplici e ariose nel benessere, più chiuse e protettive durante le crisi, e con gli anni ’70 abbiamo scoperto tutte le crisi e le incertezze. Che poi si è cercato di riassorbire con l’espansione del debito pubblico, senza impedire che si ripresentassero in seguito.
E così le macchine sono diventate sempre più protettive, integrali, SUV, con l’ABS, l’ESP, i tanti airbag, il cruise control e la marmitta catalitica, che ci regala il benzene.
Non che non ci siano state macchine anche belle e piacevoli, per carità ma, come si sente dire tra gli addetti ai lavori, progettate dal marketing e non dagli ingegneri e perciò meno affascinanti e originali.
Ma adesso, qual è la macchina di oggi?
Tra le tante incertezze c’è anche questa e non si capisce che cosa sia più oculato. Prima c’erano categorie definite: le macchine serie, quelle funzionali, quelle sportive, o anche solo quelle divertenti.
Ma oggi, che anche i politici hanno ormai l’età dei nostri figli, ci confermiamo come la generazione castigata, prima dai genitori, poi dai figli.
In pratica non ci è più permesso desiderare e dobbiamo raccapezzarci tra proibizioni e incentivi.
Le piazze delle nostre città sembrano pronte per un nuovo “Desert Storm” o per una partenza di una “Parigi-Dakar”, con i mezzi di trasporto più disparati e inusitati. Che se poi ci voltiamo per un fracasso inaspettato ci troviamo di fronte una minicar grande e sicura come una scatola di fiammiferi, ma con lo scappamento di un Panzer.
Qualcuno saprebbe orientarsi?
I diesel, convenienti e vagamente ecologici, anche se non si è mai capito bene perché con tutto quel nero lasciato in giro, se non per la convenienza delle Case petrolifere, che comunque il gasolio lo producono nel processo di raffinazione della benzina, e che oggi rischiano l’ostracismo, mentre prima apparivano seriosi.
Il motore elettrico, tanto strombazzato, forse solo perché ha un terzo dei componenti del motore a scoppio e costa alle Case di conseguenza, ma poi siamo sicuri di trovarla una colonnina libera al bisogno, dove tra l’altro perdere una buona mezz’ora? E comunque, lontano dai pace maker, che potrebbero risentirne. Al che viene da pensare, tante storie per le emissioni di un telefonino e poi ben venga acquattarsi su una piattaforma di batterie?
Allora la soluzione ibrida, con pesi e ingombri di conseguenza.
Oggi le macchine sono grandi come delle navi, come ci apostrofano i posteggiatori, abusivi, di Roma, ma dentro sembrano rattrappirsi tra airbag, imbottiture e rastrematura sulla coda, come viene definita la carrozzeria inspiegabilmente così inclinata dietro. Tutto più raccolto per un insondabile senso di maggiore sicurezza. E da cosa? Dai bombardamenti del “Desert Storm” o dai cammelli della “Dakar”?
Allora, le macchine piccole, che adesso sono grandi come le medie di una volta, ma poi, se capita di andare fuori città o di mettere mano ai ricordi stipati in soffitta?
In verità, non sappiamo più che cosa aspettarci dalla nostra macchina nuova, e le Case stesse che ormai indicano soltanto i progressi della connettività, sembrano allestire le auto solo per stare in coda, in autostrada o sulle tangenziali.

Se pensiamo che anche le superveloci, quelle macchine dei sogni, non si sa più di chi, perché non si può più correre e non si saprebbe dove parcheggiarle, anche quelle, sempre più potenti e prestazionali, in realtà non ci raccontano altro che come siano tenute bene a bada dall’elettronica, che ne imbriglia la potenza. E allora?
Così non si riesce a risolvere niente, e forse quello dell’automobile non è l’unico settore in cui questo si verifica, con un legislatore arcigno, ma alluvionale nella profusione dei provvedimenti, che oggi incentiva e domani proibisce, svilendo ogni acquisto, che diventa poi invendibile. Perciò, via ai leasing o agli affitti a lungo termine. Ma convengono, o siamo ai soliti trucchetti finanziari?
Ma se sta così a cuore la sicurezza, perché invece di tante supermulte non si indirizzano i neopatentati verso i corsi di guida sicura?
Così alla fine, i diversamente giovani si orientano verso le auto d’epoca che almeno materializzano i loro sogni di un tempo, sanno di ferro e odorano di benzina, mentre le macchine di oggi diventano soltanto una esigenza, come la poltrona del dentista. Ma che peccato.

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2 Commenti
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Mirella Becucci
17 Maggio 2021 19:25

Marco, bravissimo! Hai dipinto un quadro vivace e divertente, pensa cosa scriverebbero tuo padre e tuo nonno a proposito di macchine!

Belloni daniela
17 Maggio 2021 16:50

Descrizione della macchina divertente e perfetta bei ricordi.