SCIENZE – Ricordi nel corpo? La nuova frontiera della memoria cellulare

La cosiddetta “memoria cellulare” è un argomento che suscita molta curiosità. Ma cosa significa esattamente? E quale impatto potrebbe avere sulla medicina e sulla nostra comprensione del corpo umano?
La “memoria cellulare” si riferisce all’idea che ogni singola cellula del nostro corpo non contenga solo l’impronta genetica (il DNA) ereditata dai nostri genitori, ma anche dati acquisiti nel corso della nostra vita. Gli studi sull’epigenetica hanno dimostrato che le esperienze vissute possono imprimersi in noi, modificando le “istruzioni” che determinano l’attivazione o disattivazione dei geni del nostro bagaglio genetico. In altri termini, l’epigenetica fornisce il meccanismo attraverso il quale le cellule possono conservare informazioni e “ricordare” il loro stato, contribuendo così alla memoria cellulare.
Studi neurobiologici hanno dimostrato che le emozioni “risiedono” nel corpo e interagiscono con i tessuti e le cellule. Queste emozioni restano impresse nelle nostre cellule, creando una sorta di “memoria” del vissuto. Ciò che sorprende di più è che questa memoria influenza il nostro comportamento in maniera anche inconscia, e non si localizza solo nelle cellule cerebrali.
Il pensiero comune ritiene che i ricordi siano conservati principalmente nella corteccia cerebrale (serbatoio della memoria) e che il centro di controllo si trovi all’interno del cervello. Si dice spesso che una persona molto intelligente sia un “cervellone”! Evidenze scientifiche suggeriscono invece che l’intelligenza non sia legata alla dimensione del cervello: è stato dimostrato che i Neanderthal, una specie umana che ha abitato la Terra prima dei Sapiens, avessero un cervello più sviluppato del nostro (circa del 20% in più) e che le donne abbiano un cervello di dimensioni minori rispetto a quello degli uomini (chi oserebbe dire che sono ”meno intelligenti”?). Pare anche che nel corso dei secoli dalla loro prima apparizione sulla terra (circa 50.000 anni fa) il cervello “medio” dei Sapiens si sia ridotto di dimensioni! (Cosa succederà tra qualche anno con l’affermazione e la diffusione dell’IA?)
In letteratura è riportato un caso clinico particolarmente interessante: un francese, idrocefalo in gioventù e dotato di uno shunt per drenare il liquido, in età adulta mostrò tramite una Tac che il suo cranio era pieno di liquido spinale e che la corteccia cerebrale era ridotta a uno strato sottile del 10%, eppure conduceva una vita lavorativa e sociale del tutto normale (era sposato e aveva due figli). Inoltre, sono citati casi di bambini sottoposti a emisferectomia – la rimozione della metà del cervello per controllare crisi epilettiche – che hanno mostrato perfino miglioramenti nella capacità intellettuale e nella socievolezza, oltre alla conservazione della memoria e della personalità.
Questi studi (vedere in particolare il libro di Verny citato in bibliografia nel quale sono raccolte ricerche in fisiologia, neuroscienze, genetica e fisica quantistica) suggeriscono che la “mente” non risieda solo nel cervello, ma sia diffusa in tutto il corpo. Ogni nostra singola cellula ci rappresenterebbe non solo nella sua discendenza genetica, ma anche nel nostro vissuto. Se questi ritrovamenti fossero davvero confermati sarebbero molte in tanti settori le conseguenze nella medicina e le implicazioni di nuove scoperte potrebbero travalicare le credenze odierne rendendole obsolete.
Chi volesse approfondire il tema (e conosca l’inglese) può consultare questa bibliografia:

  1. R. Verny, The embodied mind . Understanding the mysteries of cellular memory consciousness and our bodies, Pegasus Book. Oct 5,2021
  2. Laland, K. N., & Brown, G. R., Epigenetics and Human Evolution, Nature Reviews Genetics, 12(7), 2011, 483-492.
  3. M. Sapolsky, Behave: The Biology of Humans at Our Best and Worst, Penguin Books. 2017.
  4. Russo, & Calabrese, F., Epigenetic Regulation of Gene Expression in Human Health and Disease. Frontiers in Genetics, 10, 2019, 1-15.
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