Indagare il significato di un colore può rivelarsi un viaggio sorprendente. Ogni cultura ha usato i colori in modi diversi, attribuendo loro significati a volte simili, a volte molto distanti. Quando ho iniziato a esplorare questo tema, ho pensato che il bianco fosse il punto di partenza ideale: è un colore “assoluto”, che non nasce dalla mescolanza di altri, ma esiste in sé.
Siamo abituati ad associarlo alla luce, alla purezza, alla perfezione. Eppure, ha anche un lato più ambiguo e inquietante. Lo scrittore Herman Melville, in un celebre capitolo di Moby Dick, descrive il bianco come capace di provocare un terrore p
rofondo, più intenso perfino del rosso del sangue. Forse perché, dietro la sua apparente innocenza, il bianco evoca l’infinito, il vuoto, l’ignoto. È il colore della balena albina: affascinante ma distante. Se i colori fossero persone, il bianco sarebbe quello rispettato da tutti, ma non necessariamente amato: troppo puro, troppo perfetto.
Anche dal punto di vista fisico, il bianco è particolare. Non si ottiene mescolando altri colori, e basta poco per alterarlo. Riflette tutta la luce, ma può risultare abbagliante, privo di calore. Da bambini impariamo presto che mescolare tutti i colori non crea qualcosa di magico, ma solo un grigio deludente: una piccola lezione sulla fragilità della purezza.
Nella storia dell’arte, il bianco ha avuto un ruolo importante. Gli artisti usavano pigmenti come il bianco di piombo, molto coprente ma tossico. Poi venne il bianco di zinco, più sicuro ma meno efficace, e infine, nel Novecento, il bianco di titanio: brillante, resistente, economico. Da allora è
ovunque: nei dentifrici, nei medicinali, nei campi da tennis.
Ma il bianco non è solo chimica. È anche simbolo di status. In passato, solo i ricchi potevano permettersi abiti bianchi, difficili da tenere puliti. Ancora oggi, un cappotto bianco in inverno suggerisce privilegio e distanza dalla fatica quotidiana.
Nel libro Chromophobia, David Batchelor descrive interni interamente bianchi, così perfetti da sembrare freddi e inospitali. Il bianco, dice, non è un semplice colore, ma un’idea tirannica: quella della purezza assoluta, dell’ordine incontaminato. Anche l’architetto Le Corbusier lo considerava un colore “morale”, adatto a purificare gli ambienti.
Ma non ovunque il bianco ha lo stesso significato: in Cina è il colore del lutto, mentre in Occidente è quello della sposa, della purezza e dello Spirito Santo.
Per l’artista russo Kazimir Malevič, il bianco rappresentava l’infinito: qualcosa di assoluto, libero da ogni immagine. Non a caso è stato adottato anche da architetti e designer minimalisti. Pensa ai prodotti Apple: le cuffiette bianche sono diventate un’icona. Steve Jobs inizialmente era contrario, ma si lasciò convincere da Jonathan Ive, che trasformò il bianco in una firma stilistica.
Il bianco è anche il colore della pulizia: camici, tovaglie, denti perfetti. Ma proprio perché mostra ogni imperfezione, è difficile da mantenere. I dentisti raccontano di clienti che vogliono denti così bianchi da sembrare irreali, al punto da creare nuove scale di riferimento.
Curiosamente, l’estetica occidentale del bianco nasce da un errore: per secoli abbiamo creduto che le statue
greche e romane fossero candide. In realtà erano vivacemente colorate. Quando nel XIX secolo si scoprì la verità, molti non vollero accettarla. Si racconta che lo scultore Rodin, sconvolto, abbia esclamato: «Sento qui che non sono mai stati colorati».
Forse perché per noi, oggi, il bianco non è solo un colore. È un mito. Un simbolo di inizio, di silenzio, di perfezione. Ma anche di distanza, assenza e inquietudine. Ed è proprio in questa tensione che nasce il suo eterno fascino.
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