SEI GRADI DI SEPARAZIONE - Gli incroci del destino: Bronte, l’ammiraglio Nelson e… Articolo di Marguerite de Merode Qual è lo strano legame che unisce l’Ammiraglio Orazio Nelson, eroe di numerose battaglie e le tre sorelle Bronte, autrici di romanzi fra i più popolari della letteratura inglese dell’ottocento vittoriano? Sembra improbabile che esista un nesso fra loro, una possibile parentela o una qualsiasi relazione personale. Eppure, anche se in modo molto indiretto, questa connessione casuale nasce in Sicilia in una piccola cittadina sulle pendici dell’Etna di nome Bronte che, per uno strano destino, unisce queste persone in un particolare legame. La cosa ancora più strana è che nessuna di queste personalità ci metterà mai piede. L’Ammiraglio Nelson diventa Duca di Bronte nel 1799, per meriti dei quali parlerò in seguito, ma le guerre napoleoniche lo tengono occupato a bordo delle sue navi e non abiterà mai nel suo nuovo possedimento. La dimora è l’Abbazia di Maniace, sul territorio del ducato e Nelson non conoscerà mai le vaste e ricche terre che la circondano e l’intera cittadina che da quel momento dipende da lui a tutti gli effetti. Da allora in poi si firma spesso “Nelson Bronte”. Avrà anche il titolo di “Abate di Maniace”. È da quel momento che si unisce, con il nuovo Duca, la sorte delle letterate sorelle Charlotte, Emily ed Anne Brontë, autrici di libri di notevole fama conosciute per la loro prosa intensa e psicologicamente complessa che daranno insolita notorietà alla cittadina etnea dove nemmeno loro giungeranno mai. Facciamo qualche passo indietro. Un certo Patrick Prunty, nato nel 1777 a Drogheda a pochi kilometri da Dublino, di modeste origini, diventa, con serio impegno, uno studioso del mondo classico. Si trasferisce a Cambridge nel 1802 per approfondire i suoi studi teologici e viene ammesso nel St. John's College. Si sa che il giovane nutre una grande ammirazione per l’Ammiraglio Nelson e decide di cambiare il suo nome Prunty in Bronte, che gli sembra più aristocratico e più adatto alla sua nuova vita alterandone l’ortografia in “Brontë” con la dieresi sopra la "e", affinché gli inglesi non ne storpino la pronunzia. Nel 1806 Patrick verrà ordinato pastore e nel 1812 sposa Maria Branwell da cui avrà sei figli tra i quali le nostre tre sorelle scrittrici. Torniamo ad Orazio Nelson a cui viene dato il ducato di Bronte. L’ammiraglio è all’apice della sua carriera. Ha già ottenuto varie vittorie e parte per una nuova impresa: proteggere la famiglia reale napoletana in fuga dall’invasione francese e scortare fuori dalla capitale partenopea Ferdinando di Borbone e Maria Carolina (sorella di Maria Antonietta, regina di Francia già decapitata) fino a Palermo, insieme alla corte e all'anziano ambasciatore William Hamilton con la cui moglie Emma, leggendaria bellezza, Orazio intrattiene un’intensa storia d’amore. Nelson ha appena annientato la flotta francese nella battaglia di Abukir e ha tolto alla Francia la supremazia nel mare Mediterraneo. L’anno seguente, grazie anche all’intervento del cardinale Fabrizio Ruffo, la Repubblica Napoletana è sconfitta e Nelson, tornato a Napoli con la sua flotta, organizza una (molto contestata) sanguinosa rappresaglia. Infatti cadono i nomi più illustri della cultura e del patriottismo napoletano. La monarchia borbonica viene ristabilita. Ferdinando, tornato a Napoli, estremamente riconoscente, nomina l’Ammiraglio inglese “Duca di Bronte” e gli concede “in perpetuo la terra (quasi 25.000 ettari) e la stessa città di Bronte, … con tutte le sue tenute e i distretti, insieme ai feudi, alle marche, alle fortificazioni, ai cittadini vassalli, ai redditi dei vassalli, ai censi, ai servizi, alle servitù, alle gabelle …» Quanto alle tre famose sorelle Brontë, considerati i tanti pregiudizi nell'epoca vittoriana verso le donne scrittrici, nel pubblicare i loro lavori decidono di usare nomi maschili, tenendo solo le loro iniziali. Charlotte scrive sotto il nome di Currer Bell, Emily di Ellis Bell e Anne scrive sotto il nome di Acton Bell. Saranno dati alle stampe, nello stesso anno, il 1847, tre loro romanzi che conoscono immediatamente un notevole successo tanto che, ben presto, possono usare, per i loro scritti, il loro vero cognome Brontë. Charlotte, la sorella maggiore, è l'autrice di "Jane Eyre"; Emily, di "Cime tempestose" e Anne, la sorella minore, l’autrice di "Agnes Grey". Il 4 Settembre 1981 l’ultimo erede dell’Ammiraglio, il Duca AlexanderNelson Hood visconte Bridport, vende l’Abazia di Maniace e le rimanenti terre al comune di Bronte. Nel 1986 la piccola città etnea stringe un patto di gemellaggio con Drogheda, la città irlandese dove nasce Patrick Prunty/Brontë e ricorda con onore la memoria delle sorelle scrittrici. Uno strano destino. Un curioso approfondimento sulle Sorelle Brontë Vota e/o commenta questo articolo da qui Fai leggere questo articolo ad un tuo amico... Torna all'indice | Lucilla Laureti Crainz l'ha appesa nella sua bacheca: “Bisogna periodicamente allontanarsi da qualsiasi luogo dove la consuetudine ha ucciso l’obiettività". Da “L'arte della gioia” di Goliarda Sapienza |
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ABBIAMO OSPITI/CURIOSITA' - Il fondotinta: viaggio nel tempo Articolo di Giulia Pasquazi Berliri "Se belli si vuole apparire, un po' si deve soffrire": verissimo! Nel corso della storia, il make-up ha mietuto molte vittime, desiderose di apparire piacenti all’occhio altrui. Sin dal 10mila a.C. le donne (ma anche gli uomini talvolta) si truccano, peccato che gli unguenti e le sostanze usate non siano sempre state sicure come invece lo sono oggi. Vari tipi di tossine, piombo, mercurio, arsenico: sono solo alcune della sostanze che venivano usate ed abusate! Il cosiddetto fondotinta rappresenta uno dei cosmetici più antichi utilizzato per uniformare e possibilmente schiarire la pelle e il colorito del viso, così come imponeva la moda fino agli inizi del '900. Gli Egizi sbiancavano le loro facce con la cerussa, una sorta di cera oggi più nota come biacca o bianco di piombo che, soprattutto quella di Rodi, era molto rinomata anche presso gli antichi greci. Il primo fondotinta della storia è stato inventato proprio dagli antichi Egizi nel lontano 3300 a.C. e a quei tempi era considerato “bello” chi aveva un volto bianchissimo, quindi le donne egiziane di alto lignaggio, compresa la regina Cleopatra e le sue ancelle, solevano schiarire la pelle del viso con la polvere di caolino, un’argilla morbida di origine naturale. I Romani invece mescolavano la biacca col guano (escrementi fermentati di uccelli marini) ottenendo così un orribile strato duro e bianco del tutto simile all’intonaco. Marziale, negli “Epigrammi” al libro ottavo, derideva a questo proposito la matrona Fabulla, definendola colei che "non è bellissima ne’ giovane ma si circonda di amiche brutte e vecchie per risultare più bella" e che, addirittura si rifiutava di camminare sotto la pioggia per paura che la sua faccia potesse sciogliersi!” Invece Ovidio era a favore dei visi imbiaccati tant'è vero che nella sua ”Ars Amatoria” scriveva: “Ogni amante sia pallido: questo è il colorito adatto a chi ama”, e nel suo trattato “Medicamina faciei” dava addirittura la ricetta di un fondotinta schiarente di sua invenzione i cui ingredienti erano orzo, lenticchie, uova, corna di cervo, bulbi di narciso, farro e – ovviamente - cerussa. Anche nel 1300 un viso era considerato bello solo se bianchissimo; perciò le signore si spalmavano sul volto grandi quantità di dense creme ottenute mescolando ossido d’argento e di mercurio a grasso animale, burro compreso. Nel Rinascimento si usava il “lustro”, belletto a base di Trebbiano, vino usato a Firenze nella Farmacia di San Marco e nella Fonderia di Cosimo de’ Medici, quest'ultima una sorta di vero e proprio laboratorio alchemico.Nel ‘700, in risposta all’ideale aristocratico - che imponeva pelle color madreperla col blu delle nobili vene posto in evidenza da particolari matite morbide a base di lapislazzulo - dame e cavalieri s’incalcinavano l'aspetto con lucidissime pomate collose composte di olii, burro di cacao e farine, chiudendosi poi in stanzine apposite per spolverizzarci sopra chili di cipria formata con polvere d’amido e talco. Giuseppe Parini, nel “Giorno”, a proposito di questa abitudine del Giovin Signore, scriveva: Ecco che sparsa pria da provvida man la bianca polve in piccolo stanzin con l’aere pugna, e degli atomi suoi tutto riempie ugualmente divisa. Or ti fa cuore, e in seno a quella vorticosa nebbia animoso ti avventa. Pensando al Giappone, una delle prime immagini che viene alla mente è probabilmente quella delle geishe e del loro particolare trucco, risalente alla cultura giapponese del XVIII secolo. Ma già dai secoli precedenti, in Giappone, lo standard di massima bellezza prevedeva un volto totalmente bianco, sintomo di nobiltà. Tra le donne sposate dell’aristocrazia giapponese si diffuse anche una pratica tesa a risaltare ancora di più il pallore del volto: si chiamava "ohaguro" e prevedeva l’annerimento dei denti con un colorante, per dare una sensazione di maggior candore al volto bianco. La sostanza usata come tintura era però molto tossica perché composta da una polvere di ferro. Per tutto l’Ottocento furoreggiarono il visi pallidi: un incarnato diafano esprimeva nobiltà non solo di stirpe ma pure d’animo; solo i popolani e i contadini esibivano facce colorite a causa dell'esposizione al sole. Per cui una damigella perbene sarebbe stata ben poco credibile nei suoi svenimenti se avesse sfoggiato due gote rubizze. La pelle chiarissima era dunque segno di grande fascino e femminilità, in quanto si diceva che il pallore fosse legato all’intensità dei sentimenti. Il pallido poi richiamava la Luna, l’anelito dello "Sturm und Drang", la sofferenza wertheriana; così continuarono a imperversare sulle toelette delle signore i “belletti bianchi”, micidiali composti di piombo e bismuto, o mandorle amare e sublimato corrosivo, ingredienti questi che mescolati assieme formavano il bicloruro di mercurio, che è la base del cianuro e, pertanto, estremamente tossico. Venivano spalmati a più strati su faccia, collo e, con gli abiti scollati, anche su spalle e seno; ma contenendo appunto queste sostanze, avevano pure la curiosa prerogativa di diventar neri venendo a contatto con gas o idrogeno solforato. Così spesso accadeva che signore dalla nivea epidermide, dopo essere state troppo vicine a lampade a gas o aver fatto una capatina nel “camerino di decenza“, in cui per questioni igieniche l’idrogeno solforato abbondava, si tramutassero all’improvviso in tante negrette! Fortunatamente la Moda, dal primo ventennio del Novecento annunciò che un colorito naturale – socialmente opposto a quello cadaverico dato dalla tisi, diffusissimo mal dell’epoca - fosse simbolo di salute, vivacità, sensualità ed “ésprit”; da quel momento i fondotinta divennero colorati e soprattutto, per nostra fortuna, composti da ingredienti molto più innocui. Il primo passo verso il fondotinta moderno lo ha compiuto il marchio Shiseido, che nel 1906 ha lanciato la prima polvere per viso color carne. Arinobu Fukuhara, ex capo farmacista della Marina Imperiale giapponese, fondò la Shiseido Pharmacy nel 1872: si tratta della maggiore azienda giapponese per la produzione di cosmetici e prodotti di bellezza, oltre che della più antica azienda del settore nel mondo. Con il passare del tempo i fondotinta si sono “evoluti” e sono diventati sicuri e al passo con le esigenze delle donne e ai cambiamenti nel loro stile di vita. Vota e/o commenta questo articolo da qui Fai leggere questo articolo ad un tuo amico... Torna all'indice | Marguerite de Merode pensa che: "Non ci sono libri morali o immorali. Ci sono libri scritti bene o scritti male". Oscar Wilde |
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STORIA – A sorpresa, un tuffo nella storia: il Museo di Rocchetta a Volturno Articolo di Lorenzo Bartolini Salimbeni “Il secolo scorso è stato spettatore dei due avvenimenti che più hanno mortificato e segnato la storia dell’umanità: le due Guerre Mondiali. Ma, come spesso accade, gli echi delle cruente battaglie sono ormai troppo lontani per essere uditi e il ricordo di quei drammatici anni è ormai sfocato, sopito o spesso ammantato da un ingannevole e mistico velo”, per cui emerge “la necessità della memoria come pegno indispensabile alla verità per la rinascita di una società giusta”. Queste - tratte dal dépliant illustrativo - le motivazioni che hanno portato alla nascita di un affascinante complesso, che oggi abbiamo visitato per la seconda volta, dopo una prima scoperta quasi casuale: il Museo Internazionale delle Guerre Mondiali di Rocchetta a Volturno (Isernia), dedicato alle testimonianze materiali dei due conflitti. In un antico frantoio, perfettamente restaurato, ha sede il nucleo centrale della raccolta che è nata trent’anni fa dalla passione di due ricercatori volontari, Filippo e Johnny, ed è andata continuamente aumentando fino a raggiungere dimensioni di assoluta rilevanza internazionale. Impossibile descrivere in poche righe la completezza e la varietà degli oggetti esposti, rigorosamente autentici, alcuni addirittura pezzi unici: uniformi, armi, veicoli, equipaggiamenti di ogni tipo, di tutti gli eserciti che hanno agito sulla scena europea. Il materiale è ordinato in modo chiaro e suggestivo, con l’aiuto di filmati d’epoca e altra documentazione originale. Non mancano una sala convegni ed una piccola biblioteca specializzata. La visita, sempre accompagnata da guide competenti che raccontano con passione e partecipazione, rappresenta dunque una sorpresa ed un’esperienza emozionante anche per chi non fosse appassionato dell’argomento. E la consistenza del museo è in continuo aumento, a seguito di donazioni, acquisti, ritrovamenti sul campo. Può stupire il fatto che, mentre è in contatto con istituzioni, università e centri di studi specialistici, il museo di Rocchetta sia invece praticamente sconosciuto al grande pubblico. Fra le tante mete di interesse turistico della zona questa è certamente una delle più meritevoli di segnalazione, e vale senz’altro una deviazione dagli itinerari consueti. “Un luogo vivo, quindi” - sempre nell’intenzione degli autori – “dove il doveroso ricordo del passato possa servire a non commettere più gli stessi errori”. Una speranza ottimistica, forse anche un’utopia: ma come possiamo non essere d’accordo, almeno sull’idea? Per informazioni: www.worldwarmuseum.com Vota e/o commenta questo articolo da qui Fai leggere questo articolo ad un tuo amico... Torna all'indice | Isabella Confortini Hall ne è convinta: "La misura dell'intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario". Albert Einstein |
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NATURA: La morte delle api Articolo di Beppe Zezza L’ho trovato tempo fa nell'articolo di un giornale “di nicchia”, (“La Croce”), che non penso molti lettori de La Lampadina leggano. Ho pensato che valesse la pena metterne un estratto a disposizione dei nostri amici. E’ la poesia della natura che ci affascina. Quella natura che dovremmo avere il tempo di osservare per ritrovare un poco quella “naturalezza” (scusate il bisticcio) che il nostro mondo ipertecnologizzato ci ha fatto perdere. Parla delle api. Della morte delle api. Le api – quelle “operaie” – vivono per lo più solo 50 giorni, 60 le più robuste. Solo quelle nate a fine agosto possono arrivare fino a 180 giorni. (Le api “regine” possono arrivare anche a 5 anni: i soliti privilegi delle aristocrazie!) Ma quando l’ape muore che ne succede del suo corpicino? Da questo punto in poi è un virgolettato – non voglio guastare l’emozione che la lettura ha suscitato in me. “Le api al mattino prendono i cadaveri e li portano in volo a distanza dall’alveare, adagiandoli preferibilmente su di un filo d’erba. “Cerimonia alla quale ho assistito personalmente innumerevoli volte” [parla l’apicoltore Francesco Colafemmina]. In tutti gli alveari sani non si troveranno mai resti o la minima traccia di sporcizia. E’ una scena che mi ha commosso sino quasi alle lacrime: l’ape defunta adagiata su un filo d’erba, lasciata al soffio del vento e al tocco lieve della brezza, prima che il sole sorga. Immaginiamo di vederlo nella prima alba, alle 6, d’estate. Le api che trascinano le loro sorelle e le vedi cercare un filo d’erba, sceglierlo, poggiarsi con quel peso e poi d’un tratto lasciarlo tornare alla terra. E’ commovente. Senza dubbio alcuno. Così muore l’ape. Ma come si accomiata l’uomo? Chi lo porta via dal suo “alveare” umano, la città, il condominio, poi dove lo adagia con tanta poesia? Chi ha pietà di lui? Chi sono i suoi “fratelli” che al pari delle sorelle api, lo adageranno su un filo d’erba o un fiore di maggio o sulla terra lieve?” Vota e/o commenta questo articolo da qui Fai leggere questo articolo ad un tuo amico... Torna all'indice | Carlotta Staderini condivide questa convinzione: "A alegria è a coisa mais seria da vida". Almada Negreiros |
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CULTURA – I calcoli e la matematica Articolo di Carlo Verga Nei miei primi anni di lavoro, inizio anni ‘70, si risolvevano tutti i problemi matematici con pazienza, un foglio di carta e le penna. Avevamo una macchinetta meccanica comoda ma ancora molto complicata la “divisumma”, le operazioni più semplici conveniva, comunque, farle a mano. La prima calcolatrice “elettronica” mi fu regalata da mia moglie, era un mobiletto direi 40 cm per 25 e troneggiava sulla mia scrivania. Me ne innamorai pazzamente; riuscivo a fare tutti i calcoli necessari per la mia attività, in un tempo veramente incredibile, aveva però solo le 4 operazioni. A casa nostra fu subito nominata “Lara” forse in omaggio al Dott Zivago o forse come un amore per una bella donna. Qualche tempo dopo ebbi l’opportunità di un primo viaggio in Giappone. La mia curiosità era al massimo, “intrigato” per un permanenza in un paese “ad alta tecnologia”.. Arrivato a Hong Kong, lasciata la valigia in albergo comincio a girellare nei dintorni dell’albergo, visito negozi, uffici grandi e piccoli. Grande sorpresa nel constatare che tutti, sul bancone o scrivania, avevano quello che noi usavamo da piccoli per i primi rudimenti sui numeri, cioè qualcosa di simile al pallottoliere… l’abaco. Nessuno aveva la pur “ombra” di una calcolatrice, tutti muovevano con le dita le varie pallette ad una velocità incredibile, una parte all’altra, sopra sotto e in pochi secondi, voilà i risultati delle loro operazioni anche complesse. Osservavo i vari impiegati intenti ai loro calcoli e mi chiedevo come era possibile una velocità di esecuzione per ogni tipo di operazione in frazioni quasi di secondo. Passati gli anni sono tornato in Giappone varie volte e l’uso dell’abaco non è mai scomparso e continua ad essere molto diffuso. Sembra che l’uso di questo strumento sia la base della capacità di calcolo mentale veramente notevole dei Giapponesi. Mi sono consultato con un amico che ha vissuto in Giappone per qualche anno, poi miei ricordi, hanno sollecitato la curiosità sull’argomento. Il segreto delle capacità dei Giapponesi, è dovuto da una particolare antica tecnica di meditazione di origine Cinese, l’Anzan (che significa letteralmente “calcolo mentale”) che la più parte pratica fin da piccolissimi. L’Anzan è qualcosa di simile alla meditazione buddista, serve a migliorare le proprie capacità mentali, ma è principalmente un supporto psicologico nell’affrontare lo studio scolastico della matematica. Naturalmente l’Anzan e il Soroban (abaco giapponese), insieme, riescono ad “educare” i ragazzini, certo più portati, a sviluppare calcoli prodigiosi. L’Anzan, non si discosta dalle altre discipline meditative giapponesi, chi ha fatto karate, sa perfettamente che per rompere un legno o un mattone con la mano aperta, non deve pensare a spaccare il supporto, ma passare oltre il supporto. Per l’Anzan dobbiamo immaginare di avere una mela in tasca e sentirne il suo peso la sua concretezza. Così dobbiamo raffigurare il Soroban nella propria testa e spostare le palline delle varie unità solo mentalmente. Certo è necessario un grande allenamento, ma i risultati sono eccezionali. E’ impressionante vedere i campioni di Anzan all’opera, con le loro dita che si muovono velocissime su un immaginario Soroban, spostando immaginari blocchi di palline. Guarda una scuola giapponese. L’abaco procura un’esperienza multisensoriale; infatti l’abacista vede muoversi le palline, le sente tintinnare quando urtano una contro l’altra, e le percepisce nel suo insieme. Sicuramente non esiste un altro calcolatore digitale che abbia un’attendibilità così alta in proporzione al basso costo di acquisto e di manutenzione I giapponesi, nonostante il proliferare dei computer, non hanno mai abbandonato l’abaco. Guarda le Olimpiadi dei numeri tenutasi in Giappone nel 2016. A parità di esperienza due giovani che utilizzano, uno, le tecniche dell’Anzan e l’altro una normale calcolatrice, hanno rese di tempo assolutamente differenti, la prima finisce i suoi calcoli, anche complessi, con un tempo del 25% inferiore alla seconda.. Come per molte arti tradizionali giapponesi, gli studenti dell'abaco si muovono attraverso diversi gradi di esperienza. Il titolo principale viene assegnato solo a coloro che ottengono punteggi perfetti in quattro categorie: moltiplicazione, divisione, addizione e sottrazione e contabilità. Secondo uno studio condotto da università giapponesi la mente tende ad annebbiarsi se utilizzi in modo continuativo una calcolatrice. La disciplina dell’Ansan, favorisce, invece, le tecniche di concentrazione e di apprendimento anche per qualsiasi altra disciplina. Cosa dire? Torno alla carta e penna, calcolatrice o studio il binomio Anzan/Abaco? Vota e/o commenta questo articolo da qui Fai leggere questo articolo ad un tuo amico... Torna all'indice | Rodolfo Hall condivide questa convinzione: " I modi definiscono l'uomo." Harry Hart (interpretato da Colin Firth) chiudendo la porta del bar, scena dal film "Kingsman: Secret Service" |
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AGGIORNAMENTI - Visita ad Accumuli del 22 febbraio 2018 Articolo di Lalli Theodoli Era da tempo che avevamo in programma di andare a constatare lo stato di avanzamento dei lavori per la sala riunione per cui avevamo promesso l’arredamento. I lavori per il montaggio delle casette subiva continui rinvii, e certo il tempo dello scorso inverno non è stato di aiuto. Ci sentivamo a disagio per non poter dare la notizia dell’avvenuta terminata costruzione che ci avrebbe dato modo di intervenire finalmente sugli interni. Finalmente il sindaco ci ha dato il via libera per vedere dal vivo, e non solo su progetto, la sala riunioni, (o più tecnicamente, la struttura aggregativa). Non proprio la “nostra” in fase di ultimazione, ma la sua gemella già operante. Non c’era neve sulla strada il viaggio è stato senza problemi. Appuntamento nella zona in cui già eravamo stati, fuori dal vecchio centro di Accumoli, nel luogo in cui erano stati montati in prefabbricati gli uffici del Comune e la piccola stazione dei Carabinieri. Prima bella sorpresa: la zona si è arricchita di un grande centro commerciale costruito con gusto: esterni in legno e disegno piacevole. Il sindaco è, come allora, molto impegnato, ma, ci pare, tutto sommato più sereno. Ci affida al Geom. Ferranti perché ci conduca a vedere il gemello della struttura che ci riguarda. Ci avviamo, come allora verso il vecchio centro di Accumoli. Proseguono i lavori di demolizione e messa in sicurezza. La zona è tuttora presidiata dall’esercito, sia per eventuale sciacallaggio ma soprattutto per impedire che le persone entrate in zone a tutto oggi pericolanti non abbiano a subire danni. Superiamo il vecchio centro ed ecco che compare, in un terreno grande e pianeggiante, il nuovo insediamento. Sono stupita: casette a schiera decorosissime, con portichetto in facciata, riscaldamento solare, ci si dice, perfettamente isolate sia nella pavimentazione che nelle coperture. Il dolore nel vedere le proprie abitazioni distrutte e nell’essere costretti ad abbandonarle è incommensurabile, ma queste abitazioni hanno un aspetto accogliente. Sono tutte abitate. Nessuno degli abitanti del vecchio centro è rimasto senza alloggio. Parte del nuovo comprensorio comprende una piazza con una chiesa. Nella sua destinazione di origine, un grande capannone, ma un timpano in legno ed un rosone nella facciata in legno ne hanno mutato molto l’aspetto. In legno pure sono gli arredi interni che possiamo spiare dalla grande porta a vetri. La casetta, gemella della nostra, è di fronte alla chiesa. Entriamo attraverso un porticato. Il salone è grande, luminoso, ben rifinito. Le finestre affacciano sul nuovo insediamento. Il bagno e la cucina devono essere finiti di montare. Dono di un industriale del nord che ha donato la struttura e gli arredi. Infatti all’interno troviamo tavoli pieghevoli e sedie di ottimo livello. Il bagno è accurato e la cucina ha fornelli che uno chef a tutte stelle apprezzerebbe. Siamo contenti della qualità della costruzione. Qui già viene organizzata la vita sociale di Accumoli: fanno musica, conferenze, riunioni. Ci avviamo ora nella frazione di Grisciano che accoglie la struttura di cui ci occuperemo. Poco distante dal centro operativo. La frazione ha subito enormi danni. Le ruspe hanno rimosso tutto quanto era pericolante. Intorno cumuli di macerie. In questa desolazione una casa costruita recentemente non ha subito alcun danno. E’ abitata. Ma quando i suoi abitanti si affacciano alle finestre il panorama è desolante: case sventrate e macerie. Il nostro fabbricato è nelle ultime fasi di costruzione. Il nostro amico architetto constata il perfetto isolamento del tetto e dei pavimenti. Prendiamo le misure per aver modo poi di decidere quanti tavoli, sedie, larghezza dei fornelli, sanitari per bagno ed altro. Siamo contenti. La sala sarà accogliente, calda, luminosa. Ripassiamo dal sindaco per salutarlo. Avremo presto le planimetrie per procedere agli acquisti richiesti. Oltre agli arredi un impianto multimediale. Contenti ma affamati. Chiediamo dove possiamo andare. Una pizzeria, che prima del terremoto sopravviveva dei pochi viaggiatori in transito, ora ospita esercito, protezione civile, operai, forestale. E’ divenuta il centro vitale del paese. Sono passati a duecento coperti e… si mangia benissimo. La terribile calamità che ha colpito questo posto ha portato un beneficio almeno ad uno degli abitanti. Riprendiamo la strada di casa. Nevica. Possiamo finalmente informarvi che siamo in dirittura di arrivo. Forse un mese e poi torneremo ad Accumoli con un camion pieno di quanto avremo potuto acquistare. Festeggeremo con quanti di voi vorranno partecipare alla consegna e chiuderemo la giornata con un coro e un gran piatto di pasta: matriciana, o gricia, e un buon bicchiere di vino. Sarà stato lungo il percorso, ma finalmente ce l’avremo fatta. Grazie a voi tutti. Vi avviseremo fra non molto dell’ultimo passo e…. contiamo sulla vostra presenza! La Lampadina e il Coro del Lunedì
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Torna all'indice | FLASH NEWS! Un po' qua, un po' là... I messaggi via telefono - Sembra che gli sms siano finiti, appartengono ad una generazione passata, ora molto via WhatsApp, in principal modo le faccine (emoticon) che sono sempre più sofisticate. Da queste dovremmo capire ogni tipo di stato d’animo di chi le manda, facile per i più giovani, per noi qualche difficoltà di interpretazione e quando li riceviamo dai nostri figli ci fanno preoccupare se sono felici, ridono di gioia ci prendono in giro o cosa.. Poi di gran moda i messaggi vocali che aumentano in modo vertiginoso, insomma la scrittura va man mano sparendo da ogni tipo di sistema comunicativo. CV *
Come
ci si cerca marito in alcune contee cinesi?
- Nelle contee di Taijiang e Jianhe, lungo
le rive del fiume Qingshui si celebra la festa
delle sorelle. Pochi giorni prima della celebrazione,
le ragazze Miao raccolgono fiori freschi,
erbe e foglie dalle montagne intorno ai villaggi
per produrre i colori naturali per tingere
un tipo di riso.” Il riso viene poi cotto
e colorato con colori che rappresentano primavera,
estate, autunno e inverno. Arrivano quindi
i giovani che intonano canti in loro onore.
Le giovani donne rispondono ai canti, e offrono
ai pretendenti del vino di riso e il riso
colorato avvolto nelle foglie di pannocchia,
dentro il quale
vengono nascosti alcuni simboli che i giovani
maschi devono decifrare. Se trovano aghi di
pino, vuol dire che devono regalare alla donna
aghi e filo. Se trovano germogli di toona
sinensis o prezzemolo cinese significa che
la donna vuole sposarsi. Se cotone e prezzemolo
cinese, il matrimonio deve avvenire nel più
breve tempo possibile. Infine, il grande rifiuto:
peperoncino o aglio nel riso significano che
la giovane non vuole saperne dell’aspirante
marito.
CV *
Il
taxi volante - Vi ricordate l’articolo
di qualche mese fa a proposito della auto
volanti? Ora Larry Page conferma che entro
tre anni sarà operativa la Uber dei cieli.
Hanno in prova in Nuova Zelanda un taxi volante
con velocità di 150 km orari e che vola a
900 mt di altezza. Decolla e atterra come
un elicottero. L’obbiettivo è creare una flotta
di auto volanti a costi accessibili così da
formare un servizio proprio del tipo Uber.
CV * Finlandesi felici - La Finlandia è segnalato dal World Happiness Report dell'Onu come il primo paese con il massimo di indice di felicità al mondo ed è seguito da tanti altri paesi nord europei. L’indice di felicità è dato da diversi parametri: reddito, sostegno sociale, generosità, aspettativa di vita sana, etc etc Ci vivrei? Avendolo visitato decine di volte per lavoro, direi decisamente no. Anche molti amici trasferiti in Finlandia per degli ottimi impieghi, sono fuggiti dopo aver vissuto le lunghe giornate invernali con pochissime ore di luce e le giornate estive lunghissime. Differente è la percezione che ognuno di noi ha di quei paesi. L’Italia è al 47 posto. Leggi di più CV *** APPUNTAMENTI DELL'ASSOCIAZIONE LA LAMPADINA:::PERIODICHE ILLUMINAZIONI
A
metà aprile scopriremo la
Milano anni trenta, con
la nuova esposizione alla Fondazione
Prada.
Stiamo poi organizzando una visita
alla mostra "Nascita di
una nazione. Tra Guttuso, Fontana
e Schifano" ospitata a
Palazzo Strozzi a Firenze e un'altra
a Bologna, ospitata al MamBo per
"Revoluija. Da Chagall a
Malevich, da Rapin a Kandinsky".
Poi,
a ottobre, Palermo con Manifesta.
Se
siete interessati a queste iniziative
della nostra Associazione, scriveteci
e Vi terremo informati
Per info sull'Associazione e/o prenotazioni, scriveteci a appuntamenti@lalampadina.net |
...
E ANCORA FLASH NEWS!
Basta
rumore! - Finiti i doppi vetri,
sembra che il futuro sia nella nuova tecnologia
sviluppata da Royal Melburne Institute of
Technology. Si tratta di un film
a base di biossido di vanadio da applicare
sui vetri comuni delle finestre.
Ha lo spessore inferiore di un migliaia
di volte a quello di un capello. Rispetto
ad un vetro doppio ha un efficienza energetica
superiore del 70% durante l’estate e 45%
durante l’inverno. Abbasserà
i costi energetici in modo notevole
aiutando a ridurre drasticamente le emissioni
di CO2 degli edifici.
CV *
Il
tuo cellulare, una radio personale
- Se scarichi questa applicazione sul tuo
cellulare puoi avere la diretta da 10 canali
radio Rai. Puoi consultare i programmi del
giorno ma richiamare anche quelli della
settimana passata e vedere cosa ti propongono
la settimana successiva. Scarica l’APP Raiplay
radio, è gratuita.
CV *
Autovetture
In Italia - Ne abbiamo 38 milioni,
6,5 milioni di moto, 4,5 milioni di camion.
Mediamente ne circola solo il 10%, quindi
solo una macchina su 10 è in strada. Il
picco viene in genere raggiunto il lunedì
con circa il 18% del parco vetture.
CV *
Bella questa iniziativa della cassa di risparmio di Bolzano! - Cento posti pagati in Alto Adige per studenti tra i 16 e 21 anni disposti ad impegnarsi luglio e agosto in case di riposo e organizzazioni assistenziali della terza età. Requisiti richiesti: capacità di spiegare cellulari e internet. Il compenso per i ragazzi 4,10 euro all'ora per orari fino a 7,5 ore al giorno. CV ******* La Lampadina LIBRI
Questo
mese Daniela Matronola ci parla
di un'opera famosissima di Virginia
Woolf, "Mrs Dalloway".
Buona lettura!
Due
o tre cose che so di lei anzi
di loro due: di Clarissa (Dalloway)
e anche di Virginia (Woolf).
E pure del libro in sé. Mrs Dalloway
è un libro del cuore.
Per almeno due motivi: l'ho conosciuto
grazie alla poetessa Margherita
Guidacci che ho avuto come docente
di Letteratura Inglese al quarto
anno alla (attuale) LUMSA, e grazie
a lei ho lavorato bene su T.S.
Eliot anche e su Joyce... facemmo
un seminario su Mrs Dalloway e
io dovevo rintracciare nel testo
"Le Vie della Memoria": una galoppata
appassionante, anzi un pedinamento
muso a terra come un segugio.Bello!
In effetti nel libro la percezione
del presente, che risulta certe
volte provocatorio, è perennemente
insidiata dalla rivalutazione
e dal ricalcolo del passato, per
esempio quando riciccia Peter
Walsh. Oppure nel peso che il
recente passato esercita come
distorsione sulla mente di Septimus.
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CHI SARA' DI SCENA? Cari Lettori, poche ma di qualità le proposte teatrali per questo mese di aprile! Patrizia Circosta ***
Al Teatro
dell'Opera per tutto il mese di
aprile si
alterneranno tre opere: “Cavalleria
Rusticana - Pagliacci”,
musica di Pietro Mascagni per la
Cavalleria Rusticana e libretto
tratto dalla novella di Giovanni
Verga, musica e libretto di Ruggero
Leoncavallo per Pagliacci. La regia
è di Pippo Delbono e la direzione
di Carlo Rizzi.
Poi
“Tosca”,
musica di Giacomo Puccini, libretto
di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.
La regia è di Alessandro Talevi
e la direzione di Jordi Bernàcer.
Al Parco
della Musica, il 27, 28 e 29 aprile
torna il maestro Myung-Whun
Chung per dirigere lo “Stabat
Mater” di Rossini con i
solisti Eleonora Buratto, Veronica
Simeoni, recentemente ascoltata
ne “La Damnation de Faust”, Paolo
Fanale e Roberto Tavaglini.
Per il
teatro di prosa, il Teatro di Roma
propone un imperdibile Trittico
Dostoevskij: dal 3 al 15 aprile
al Teatro Argentina “Delitto
e Castigo”, con l’adattamento
e la regia del quarantenne moscovita
Kostantin Bogomolv, considerato
“tra le voci più lucide della scena
contemporanea russa”, ma con un
cast tutto italiano! “Il testo dell'autore
russo è stato riadattato
dallo stesso regista che ne attualizza
la vicenda, a partire dal protagonista,
Raskol’nikov, qui un immigrato africano,
indolente e privo di qualsiasi ideologia,
che si rende colpevole di omicidio
uccidendo una donna bianca e sua
figlia…”.
Al Teatro
India, dal 5 al 8 aprile va in scena
“I
Malvagi”, ideazione
e regia di Alfonso Santagata e dal
12 al 22 aprile “Ivan”,
liberamente tratto
da I Fratelli Karamazov, per la
regia di Serena Sinigaglia con Fausto
Russo Alesi. Al Piccolo Eliseo continuano
i “Cultural Combat”
a cura di Valerio Magrelli, il 9
aprile avremo il quinto scontro:
V.
Nabokov vs F. Dostoevskij mentre
il 23 aprile alle 20.00 potremo
assistere allo scontro
Pasolini – Marquez. L’ingresso
è gratuito.
Divagando
sul tema (e non per la prima volta!)
segnalo anche l’ottava
edizione di “Rendez-vous
– Nuovo cinema francese”,
la rassegna cinematografica di nuovo
cinema francese che si svolgerà
tra il 4 e il 10 aprile presso il
cinema Nuovo Sacher, l’Institut
français Centre Saint Louis e la
Casa del Cinema.
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MOSTRE
Ecco le segnalazioni di Marguerite de Merode
Una
visita di alcune delle case-museo della capitale,
per una passeggiata tranquilla il Lunedì dell'Angelo.
Museo
Canonica: E' veramente
particolare l'atmosfera fine secolo che si
prova girando nell'abitazione/studio dello
scultore torinese, Pietro Canonica.
Tra le opere dell'artista, ritrattista dell'aristocrazia europea si prova una certa emozione: nelle sale dove sono esposte le sue statue fra marmi, gessi, bronzi, ritratti, monumenti celebrativi e funerari, modelli, bozzetti e repliche; nello studio dell'artista e nell'appartamento privato completo degli arredi dell'epoca.
Museo Hendrik Cristian Andersen
un
interessante esempio di casa atelier della
prima metà del Novecento appartenuta all’artista
scultore norvegese Hendrik Andersen. Un luogo
poco conosciuto, fuori dai percorsi turistici,
porta voce dello spirito del tempo, “quasi
interamente incentrata attorno all'idea utopica
di una grande "Città mondiale", destinata
ad essere la sede internazionale di un perenne
laboratorio di idee nel campo delle arti,
delle scienze, della filosofia, della religione,
della cultura fisica”, con oltre duecento
sculture di grandi, medie e piccole dimensioni
in gesso e bronzo; oltre duecento dipinti;
oltre trecento opere grafiche.
Caffè
Canova Tadolini:
In questo caffè, nel centro di Roma a due
passi di Piazza di
Spagna, si è mantenuta l'atmosfera originaria
dello studio d'arte dove ha lavorato Antonio
Canova, che lascia in seguito l'atelier al
suo allievo ed erede spirituale Adamo Tadolini,
capostipite della famiglia di scultori che
lo hanno utilizzato fino al 1967. Volutamente
si affollano calchi in gesso di varie dimensioni
e tipologie, attrezzi del mestiere usati dagli
artisti che vi hanno lavorato per restituire
il giusto carattere all'ambiente recuperato.
Vale una sosta il tempo di un caffè.
E poi una mostra che è più un'esperienza:
The
Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains
al Macro di via
Nizza, è un viaggio immersivo,
multisensoriale e teatrale nello straordinario
mondo dei Pink Floyd. La mostra già ospitata
dal V&A di Londra, rimarrà a Roma fino
a primo luglio 2018.
Roger Waters così parla all'inaugurazione: "Siamo qui per parlare dei Pink Floyd, ma non per lodarli....Sono più interessato a voi che alle cose che ho fatto 40 o 50 anni fa..."
Trovate
tutto qui
ALL'OLIMPICO
CON
LA LAMPADINA
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Migel
Angel Berna e il suo
Berna e Buñuel
13-15 aprile 2018
La
nuova produzione Miguel Angel Berna
rende omaggio a Luis Buñuel, costruendo
un itinerario simbolico in cui si
alternano visioni, pensieri e preoccupazioni
che hanno segnato il lavoro del
grande cineasta aragonese, attraversando
il suo mondo onirico in cui si manifestano
emozioni, istinti e desideri.
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Notte
Tzigana - Antal Szalai e l'Orchestra
tzigana di Budapest
Dal 17 al 18 Aprile
2018
Antal
Szalai è considerato il miglior
violino solista tzigano nel mondo
ed è stato il beneficiario del premio
“Ferenc Liszt Award” nel 2005. L’Orchestra
Tzigana di Budapest nasce nel 1969
su iniziativa proprio del M° Antal
Szalai in collaborazione con altri
musicisti provenienti da varie orchestre
di Budapest. L’intento del gruppo
è di proporre e valorizzare il repertorio
orchestrale della musica tzigana.
Il loro repertorio è costituito
non solo della musica ungherese
tsardas, ma comprende anche pezzi
classici del calibro della Rapsodia
ungherese di Liszt, Brahms, Danze
ungheresi, pezzi provenienti dai
membri della famiglia Strauss, e
la musica rurale ungherese tradizionale.
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Pastora baila - Pastora Galvan
19
e 20 aprile 2018
Pastora,
una bailaora di prestigio mondiale
che rappresenta il baile flamenco
attuale. In ogni movimento e nelle
sue celebri pose. Personale come
solo lei può essere. Difendendo
una saga di grandi bailaores. Suo
padre, Josè Galvan, e sua madre,
Eugenia De Los Reyes. Senza dimenticarci
di suo fratello lsrael Galvan il
genio all’avanguardia più credibile
del flamenco che per l’occasione
si pone al servizio di sua sorella
per confezionare una proposta di
difficile semplicità. Flamenca,
minimalista e di effetto.
info e Prenotazioni: Ufficio Promozione - Emanuele Venturi
06
32659927 - Scrivi
email
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Pensiero
Laterale: il
veleno
Un gruppo di 6 uomini di un servizio informativo, prima di entrare in una delle solita riunione mensili dal loro capo, si versano, tutti, da una brocca comune un buon succo di arancia che poi raffreddano con l’aggiunta di vari cubetti di ghiaccio, dopo pochi minuti cadono tutti a terra morti, uno solo si è salvato, quest'ultimo pur avendo bevuto il succo si era dovuto allontanare di tutta fretta per un'urgente chiamata esterna. Come mai? Vedete qui... |
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