LA LAMPADINA /RACCONTI – Covid 2

di Vittorio Grimaldi

Aprì un occhio, poi l’altro. Era sudaticcio. Facendo perno sul sedere alzò il busto con fatica e rovesciò le gambe sul pavimento. Rimase seduto per qualche istante apprezzando la sensazione di fresco che saliva dal pavimento di cotto. Era un consiglio del suo vecchio medico rumeno che non c’era più e a cui ogni mattina rivolgeva un pensiero riverente, come una preghiera o una superstizione. Dette un’occhiata all’orologio da polso ma la mezzaluce che filtrava dalle persiane chiuse gli impedì la visione dell’ora attraverso le lancette fosforescenti. Non quella del polpettone ottocentesco intitolato “Giacinta” che, prima di addormentarsi, aveva abbandonato semiaperto sul lato sinistro del letto.

Si alzò, guardò il libro e gli venne da ridere perché era sicuro che l’autore di Giacinta avrebbe scritto “alzossi”.

Ancora imbevuto di quel lessico, “braveggiando” dunque il pericolo, aprì le imposte “spenzolandosi” dalla finestra affacciata sul mare. Anticipata dal vento fresco di ponente la luce chiara e azzurrina dell’alba si diffuse nella stanza. “Una calma soave, una serenità gioconda“ inondarono il cuore di Angelo ridonandogli per un attimo quel beato senso della giovinezza, quando, almeno secondo Luigi Capuana, “si vive a questo mondo unicamente per vivere”. Eppure non aveva fatto un bel sogno. Aveva immaginato di essere a New York per affari di tanti anni fa con un banchiere italiano, un amico più che un cliente, al quale volle fare uno scherzo. Nel sogno il banchiere, di cui ricordava benissimo nome e cognome … Alfredo Morvilli, sedeva al caffè di una piazza deserta, assolutamente improbabile in una città come New York. Sempre nel sogno Angelo aveva spedito un suo cameriere filippino, Romeo, realmente esistito e al suo servizio tanti anni fa, ad avvisare il Morvilli che era ancora seduto al caffè, che era vittima di una congiura, ricercato dalla polizia di New York per una colpa inesistente. La reazione del banchiere (siamo sempre nel sogno) era stata assai deludente: si era alzato senza neanche pagare il conto ed era fuggito, invano inseguito dal filippino e dallo stesso Angelo che, inopinatamente comparso sulla scena, aveva constatato con desolata tristezza che l’amico, lungi dal difenderlo aveva comunicato alla polizia la sua residenza niente meno che al Carlyle.

Angelo, ormai fuori dal sogno, ma comunque amareggiato dal tradimento del Morvilli, sentendosi sporco (“polluto” avrebbe detto il Capuana) rimase più di mezz’ora sotto la doccia del Carlyle. Quindi si asciugò e tornò a letto con la malevola sensazione di star male.

Misurò la temperatura e si mise a sfogliare un altro polpettone ottocentesco sicuramente più noto di Giacinta, intitolato I Promessi Sposi e, di seguito, Storia della Colonna Infame. Aprì la prima parte del volume, al capitolo XXXI quando il termometro, (ancora di quelli vecchi, al mercurio) segnava 37,4°. Si addormentò. Sfuggì all’arresto da parte della polizia di New York ma non poté raccontare l’esito della vicenda.

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