ABBIAMO OSPITI – STORIA/ATTUALITA’: Quanti Islam ci sono con cui dialogare?

Articolo di Domenico Francesco Donato – Autore Ospite de La Lampadina

Oswald Spengler riteneva che le Civiltà fossero soggette a cicli di nascita, crescita e morte, esattamente come un organismo vivente, solitamente caratterizzate nella loro fase di crescita da una forza espansiva tendenzialmente violenta e conquistatrice. Così per i primi grandi regni del nord Africa e del Medio Oriente dall’Egitto sino a Babilonia, così anche per le civiltà sviluppatesi sulle rive settentrionali del Mediterraneo, fra tutte quella greca e romana.

A questa legge non è sfuggita certamente la Civiltà islamica nella sua prima fase espansiva guidata dai diretti discendenti del Profeta Maometto, quando, in coincidenza di uno sviluppo culturale di altissimo livello, le tribù beduine della penisola arabica avevano acquisito il dominio della più vasta area mai assoggettata sino ad allora toccando l’estremo occidentale della penisola lusitana e quello orientale del mare di Sumatra.

Ovvio che in questo continuo movimento elastico ogni Civiltà si incontri e si scontri con altre realtà soggette al medesimo flusso; è accaduto per tutte e sicuramente per quella islamica e quella che potremmo definire europea, risorta “meticcia” dopo il connubio tra popoli germanici, genti romane o romanizzate e influssi culturali di antica ascendenza giudaica.

Scontri sanguinosi, secoli di reciproca ferocia, eppure altrettanti scambi proficui senza mai perdere di vista il rapporto reso possibile da un’idea di fondo del mondo solo in apparenza dirimente ma in realtà unificatrice: la religiosità, o, in ogni caso, una concezione teocentrica e sacrale della vita.

Poiché è vero che vi è stata l’aggressione dell’Islam all’Europa orfana di autorità politiche centrali nell’alto medioevo romano-barbarico, è vero che a ciò succedettero, in senso inverso, la “Reconquista” della penisola iberica, le crociate e, dopo l’avvento ottomano sugli arabi, il plurisecolare duello tra la casa di Osman e la nuova potenza Asburgica nelle sue gemmazioni spagnola ed austriaca, ma, è altresì vero, che mai venne meno tra i contendenti il modo di intendersi. Almeno in superficie, per ragioni solo economiche (mai e poi mai la Repubblica di Venezia cessò di avere presso il Gran Signore di Istanbul il proprio bailo attraverso il quale dialogare e curare gli interessi economici dei mercanti della Serenissima anche durante le fasi più drammatiche dei molteplici conflitti per il controllo delle rotte adriatiche e del mare Egeo), in realtà, perché le società del tempo si assomigliavano sotto fondamentali aspetti.

Tre i principali punti di condivisione: 1) religioso, nessuno sia in occidente che nei territori islamizzati si sarebbe sognato di mettere in discussione l’opera divina in tutti gli aspetti dell’esistenza; 2) politico e 3) sociale: tutti gli organismi statuali del tempo, in occidente come in oriente, grandi o piccoli, monarchici o a vocazione imperiale-universale, erano dominati da ristrette aristocrazie, di spada o di toga, in contrapposizione a masse oceaniche di indigenti assoluti e con ricche, quanto poco numerose, borghesie mercantili cui restava precluso il governo della res pubblica almeno sino ad una nobilitazione acquisita a suon di moneta.

Gli aspetti similari facilitavano lo scambio, così come lo facilitava la centralizzazione dell’autorità, tanto in Europa quanto sul versante sudorientale del Mediterraneo, di punti di riferimento che tali restarono per molti secoli.

Alcuni rapidissimi esempi: Federico II prega presso il Santo sepolcro solo grazie alla sua relazione speciale con il sultano ayubbide al-Malik al-Kamil. Bayezid, Gran Signore di Istanbul, paga alla corte papale di Alessandro VI un ricco contributo perché essa trattenga il principe Cem, suo fratello e rivale per il trono. Per non parlare delle relazioni diplomatiche e dei commerci mai interrotti tra la Sublime Porta ed i principati di barberia soggetti ad essa con la Spagna di Filippo II ed il Sacro Romano Impero di Ferdinando I di Asburgo, quando, nonostante i grandi scontri navali e terrestri, gli anni di pace furono di gran lunga più numerosi degli anni di conflitto.

Questo antico rapporto, talvolta respingente altra convergente, ha cominciato a sgretolarsi per incomunicabilità e per la crisi politica delle Istituzioni “orientali” quando in Occidente ha iniziato ad albeggiare una nuova visione del mondo con al centro il motore della Ragione. La crisi si è aggravata man mano che in Europa si è fatta strada l’ecclissi del sacro e l’acquisizione di un assoluto predominio economico e tecnologico sul mondo islamico che solo apparentemente ha tentato di uniformarsi durante la stagione della decolonizzazione assimilando, però, solo gli aspetti meno significativi degli sconvolgimenti epocali verificatisi in Europa nel XX secolo. Poiché nulla della società plurale è migrato dall’altra parte del Mediterraneo, né la profonda complessità dell’organizzazione sociale a base democratica, né lo sviluppo della personalità dell’individuo che ha quasi del tutto sostituito la coscienza comune e l’etica collettiva da noi.

[riprende da Newsletter]
E’ vero che l’Islam ha importato tecnologia e sviluppo economico in parte ma l’archetipo della società tradizionale tripartita non è venuto meno. Alcuni direbbero che l’Islam non si è laicizzato, ma ciò non è vero perché il laicismo è stato imposto per legge da tutte le maggiori potenze mediorientali che non si sono risparmiate nulla dei derivati della Rivoluzione francese: dal socialismo al nazionalismo passando dal totalitarismo ideologico fino alle dittature carismatiche (basti pensare alla Turchia, alla Siria, all’Egitto, all’Iraq prima della seconda guerra del Golfo e prima delle primavere arabe). Ciò che in realtà non è mai avvenuto, come per l’Occidente, è stato l’abbandono delle fede originaria, perché per quanto un musulmano possa occidentalizzarsi ed integrarsi in un tessuto laico non potrà mai dimenticare che la sua stessa identità di uomo o di donna è legata alla religione nella quale e con la quale è nato.

Oltretutto, chi ha un minimo di dimestichezza con l’argomento sa molto bene che le crisi politiche delle regioni che ne fanno parte sono sempre coincise con la marea montante di un’interpretazione fondamentalista dell’Islam, sedicente rinnovatrice dei precedenti corrotti poteri costituiti.

Gli Almoravidi, fondatori del potente impero ispano-maghrebino del X secolo, furono sopravanzati dalla dinastia degli Almohadi fondata da un predicatore storpio ed esiliato che richiamava i fedeli ad una maggiore aderenza al messaggio del Profeta. La dinastia dei Saud nella penisola arabica fece del Wahabismo il suo collante ideologico sino a creare l’entità statale che oggi chiamiamo Arabia Saudita proprio a cagione di ciò. Per non dire della rivoluzione iraniana che al fine vide trionfare gli ayatollah e non certo i partiti secolarizzati. Sino alle molteplici ondate jihadiste, così ben descritte da Marisè Condè nei suoi romanzi, che trasformarono il volto dell’Africa nord occidentale e subsahariana di tradizione animista.

Strano a dirsi ma nell’era della Comunicazione e delle società multietniche, forse, siamo al minimo storico del dialogo con i nostri vicini più prossimi.

E la questione si complica quando aguzzando bene lo sguardo non si riescono ad individuare interlocutori autorevoli con cui ragionare poiché nell’Islam sono venute meno tutte le principali autorità morali normalmente prevalenti su quelle politiche.

Non solo, ma l’Islam stesso si è spezzettato in molti tronconi con caratteristiche assai diverse le une dalle altre che bisognerà saper interpretare per comprendere laddove lo si voglia.

Per semplificare diremo che un Islam come lo potrebbe accettare un occidentale (che lo vorrebbe “moderato” inNL35 - quanti islam - la-civilt-islamica senso proprio) oggi non esiste, perché le due grandi correnti di pensiero che hanno avuto successo sono quella di matrice fondamentalista e quella di matrice jihadista. La cosa non è passata inosservata a chi, negli ultimi anni, avrà viaggiato per quelle contrade dove avrà notato che, appena usciti dai recinti per “turisti”, la stragrande maggioranza della popolazione è strettamente osservante e le donne col “velo” non si contano più.

Geograficamente l’Islam è diverso e le domande che pone lo sono altrettanto. Pensiamo ai movimenti jihadisti della Nigeria, del Mali e di tutta l’Africa subsahariana che uniscono alla base ideologica religiosa una forte rivendicazione per il riconoscimento etnico. Si tratta di qualcosa di molto diverso dall’Islam del Maghreb, pure, loro molto vicino, dove è più forte lo sposalizio tra intransigenza religiosa e revanscismo sociale. Ed ancora, l’Islam più colto e sofisticato dell’Egitto patria degli ideologi del fondamentalismo moderno, sede della prestigiosa università islamica al-Azhar del Cairo ed in netta contrapposizione con le monarchie della penisola arabica dove ha allignato il rigorismo religioso ma non il dibattito dottrinario che ne dovrebbe essere alla base; monarchie che finanziano direttamente e indirettamente le correnti jihadiste per minare proprio Egitto e Siria e riprendersi la centralità culturale perduta al tempo degli Abbasidi.

Spingendosi ad est questo mondo si sfaccetta ancor di più. L’Iran sciita, de facto insolito alleato degli Stati Uniti, per tenere sotto controllo la marea sunnita che si agita ai suoi confini. Il misterioso Islam dell’area turcofona, solo più di recente interessato dal fenomeno dell’ortodossia, ma, da bravo neofita, aderente con entusiasmo al terrorismo internazionale anche perché controparte di regimi talmente corrotti con aneddotica che fa parte del folclore locale segnalato dalle guide turistiche. La stessa ambigua Turchia, che è nella NATO ma non contrasta l’ISIS perché teme più uno stato curdo che uno stato stragista.

E così avanti guardando all’Indonesia, alle Filippine al Pakistan dove resta tutto da capire, sino all’Islam taciuto degli Uiguri che il Partito Comunista Cinese vorrebbe dimenticare ma che, invece, ogni tanto scende in piazza per segnalarsi al Mondo.

Poi esiste un altro volto dell’Islam, che è quello con cui facciamo i conti ogni giorno, perché è la fede di milioni di nuovi europei. Forse il tema più difficile, lo conosciamo ancora meno degli altri, nella più gran parte dei casi solo attraverso le informative dei Servizi e la comunicazione massmediatica in occasione di attentati o arresti di cellule terroristiche infarcite di spiccia preparazione coranica.

Allora cosa fare? Come regolarsi? Con chi parlare e con chi non parlare e, soprattutto, cosa dirsi?

Domenico Donato

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giuseppe fabbri
19 Febbraio 2015 20:19

caro Domenico Francesco,
complimenti per la sua relazione che non esiterei a definire accademica nella sua esposizione tuttavia mi perdoni la franchezza se le dico che non m’è piaciuta. mi è sembrato, cioè, che alla dotta ricchezza di elementi storici che lei elargisce non corrisponda altrettanta ricchezza di considerazioni sul perchè questo contrasto tra cristianesimo e islam si è così violentemente acuito nell’ultimo ventennio.

Reply to  giuseppe fabbri
24 Febbraio 2015 19:39

Gentile Giuseppe Fabbri,

la ringrazio per i complimenti che mi ha rivolto anche se, per amor del vero, da un punto di vista strettamente personale,la definizione di “accademico/a” non la amo troppo. Tuttavia, volevo informarla che l’articolo che mi è stato gentilmente pubblicato dalla Lampadina è la I parte di un “pezzo” più ampio che fa da prodromo al resto. Nella II parte, sempre se la Lampadina l’accetterà, tenterò di dare le mie personali risposte agli interrogativi con cui ho chiuso e mi spingerò sull’analisi degli ultimi 20 anni che, come lei osserva giustamente, sono stati tragici e precipitosi poichè ci hanno fatto assistere ad un confronto con l’Islam quasi del tutto conflittuale. Le posso preannunciare che non sarà semplice perchè dalle tematiche prettamente storiche si passerà alla geopolitica e, per rispettare le regole di chi mi ospita, che, peraltro, condivido, bisognerà concentrarsi sul “geo” e trascurare la “politica. La ringrazio ancora per il suo interessamento. Un saluto cordiale

stefano gentile
19 Febbraio 2015 18:13

Mi piace di più il commento di Beppe Zezza ( non ci conosciamo …mi presento : sono Stefano Gentile attento lettore entusiasta del ” La Lampadina ” . Già ingegnere, già Ufficiale dei Carabinieri Paracadutisti, già Segretario dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, già tante altre cose ) rispetto al coltissimo articolo di Domenico Donato ( mi presento anche con Lui ) al quale sommessamente mi viene da chiedere “cosa dirsi ?” e ” è obbligatorio parlare con qualcuno ? ” e come parlare ( o meglio : si fa in tempo? ) con i tagliagole , con quale linguaggio ? Infine : ci siamo inventati ( noi colti, filologi e tolleranti (!)) DUE islam , uno ” moderato ” ed uno ” integralista “. Esiste questa suddivisione tra i cristiani ? Nel frattempo ( mi si perdoni la battuta ) resto ” abbasido ” .

Beppe Zezza
18 Febbraio 2015 10:20

Gentile Domenico Francesco Donato
Ho letto con interesse il suo lungo articolo dedicato all’Islam.
Mi sembra che il succo sia questo: occidente e islam hanno convissuto fintantoché avevano basi religiose e strutture politiche e contesti sociali simili. Oggi la cosa non è più possibile perché da un lato l’occidente ha abbandonato i fondamenti religiosi sui quali si basava , si è dato forme politiche nuove e la struttura sociale è profondamente mutata mentre dall’altro l’islam si è frammentato in tanti diversi filoni, spesso in concorrenza gli uni con gli altri. Concordo nelle conclusioni anche se non condivido tutte le sue argomentazioni.
Ritengo che nel suo discorso – e anche nella lettura che lei fa della “storia” – lei sottovaluti un aspetto che è alla base dell’islam ed è, a mio parere, fondamentale: la pretesa dell’islam di conquistare l’intero globo terrestre per condurre tutte le genti al culto del loro dio. Questo è il punto cruciale e che è stato sempre presente anche quando “nessuno sia in occidente che nei territori islamizzati si sarebbe sognato di mettere in discussione l’opera divina in tutti gli aspetti dell’esistenza”. Non a caso lei sottolinea il ruolo svolto in tempi diversi dai movimenti che richiamavano i fedeli ad una maggiore aderenza al messaggio del Profeta. La convivenza è stata certamente possibile per motivi politici e di convenienza economica – attribuirla anche al modo di intendere la presenza divina nel creato mi appare invece arbitrario.
Come lei rileva: “per quanto un musulmano possa occidentalizzarsi ed integrarsi in un tessuto laico non potrà mai dimenticare che la sua stessa identità di uomo o di donna è legata alla religione nella quale e con la quale è nato” Ed è questa la motivazione principale che impedisce oggi, a mio parere, che si levino, alti e forti, cori di voci mussulmane da parte dei filoni cosiddetti moderati che condannino apertamente le atrocità commesse in nome dell’Islam.
Giustamente lei mette l’accento, poi, sugli scontri sanguinosi avvenuti per secoli tra occidentali e mondo islamico ma inaccettabile è, a mio parere, mettere sullo stesso piano la “reconquista” della penisola iberica e le crociate – episodi che potremmo definire di “legittima difesa” – con l’espansionismo islamico portato avanti, in ondate successive fino all’assedio di Vienna del 1700. Questa posizione – espressione del pensiero anticristiano che ha pervaso l’occidente negli ultimi due secoli – è stata fatta propria dai movimenti filo-islamici ma va rigettata.

Marcello Bertucci
Reply to  Beppe Zezza
22 Febbraio 2015 19:07

Caro Zezza,
se le crociate sono state “legittima difesa” allora io sono “Babbo Natale”!

Reply to  Marcello Bertucci
23 Febbraio 2015 22:46

Caro Bertucci

sono lieto di avere tra i nostri lettori anche “Babbo Natale”!

Se lei non accettasse supinamente la propaganda laicista e si documentasse un po’ più approfonditamente, scoprirebbe che le crociate sono state indette soprattutto per consentire ai pellegrini di visitare i luoghi santi.
I pellegrinaggi, che erano stati possibili nei primi secoli della dominazione mussulmana, sono stati proibiti dai Turchi, quando questi hanno assunto il dominio sulla “umma”
Sulle Crociate è stata imbastita una “leggenda nera” a partire da Voltaire e poi ripresa dalla storiografia “laicista” di questi ultimi due secoli.
C’è da rilevare anche che per gli stessi mussulmani prima delle recrudescenze di questi tempi le crociate erano eventi quasi dimenticati; basti pensare che la prima storia delle crociate di parte islamica è stata scritta solo nel 1899.
Se lei è interessato all’argomento le consiglio la lettura di questi due testi  scritti da  Franco Cardini, storico che ha un’autorità indiscussa sul medioevo : Le Crociate tra il mito e la storia, Istituto di Cultura Nova Civitas, Roma 1971. e  Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme Casale Mon.to (AL) 1994. 
(Come vede sono testi piuttosto vecchi, che tuttavia – chissà perché! – non hanno lasciato traccia nel “pensiero comune”)

Reply to  Beppe Zezza
25 Febbraio 2015 15:33

Gentile Beppe Zezza, intanto ringrazio lei e la redazione per lo spazio che mi avete voluto dare. La ringrazio anche per la personale attenzione con cui ha letto il mio “pezzo” e, ovviamente, sia pure con grave ritardo, replico alle sue osservazioni.
Correttamente ha individuato il tema centrale dello scritto ma, temo, ne abbia frainteso una parte rilevante. Non ho mai posto le crociate sullo stesso piano delle aggressioni islamiche all’Europa medievale, solo ho segnalato che, a mio avviso, esse, al pari delle guerre mosse dall’Islam, possono considerarsi una manifestazione tangibile di un/a fase/ciclo di espansione dell’Occidente di natura aggressiva. Non ho mai condiviso l’impostazione del Runciman circa una natura rapinosa delle Crociate perchè basta guardare alla prima di esse per comprendere il loro profondo spirito idealistico, altrimenti non potrei giustificare il perchè i Signori più ricchi e potenti d’Europa (Raimondo di Saint Gilles, Stefano di Blois, Goffredo di Buglione Boemondo di Taranto e vari altri, tutti di gran lunga più ricchi dei loro stessi sovrani legittimi)abbandonassero i propri possidenmenti ed affetti per morire in terre sconosciute e lontane. Però non posso pensare alla legittima difesa perchè, del pari, non mi spiegherei tutte quelle crociate/spedizioni terminate con il sacco dell’Impero Bizantino e di Bisanzio stessa, che si vide sottratta buona parte del dominio egeo dai Veneziani, i quali non credo fossero lì per difendersi ma per conquistare e in Terra Santa neanche ci misero più piede. Sul desiderio dell’Islam di convertire tutto e tutti al proprio credo ritengo che questa sia una caratteristica di tutte le religioni “organizzate”, altrimenti cosa sarebbe stata l’evangelizzazione delle Americhe sotto gli Spagnoli? Ribadisco non era mia intenzione prestarmi al “complesso dell’uomo bianco” perchè, nel bene e nel male, mi sono sempre sentito figlio dell’Occidente, però non posso non guardare con paritetica distanza alla storia delle Civiltà, diversamente perderei obiettività di giudizio e, sopratutto, non avrei la lucidità necessaria per risolvere il problema sia pure nel mio piccolo. Io qualche idea sul dialogo l’avrei e, se vorrete ospitarmi nuovamente, magari potrei parlarne nella II parte dell’articolo che avevo già previsto. Grazie de un saluto cordiale.

beppe
Reply to  Domenico Francesco Donato
25 Febbraio 2015 18:00

Gentile Domenico Francesco Donato
non c’è dubbio che la “reconquista” della penisola iberica sia stata una reazione alla conquista da parte islamica così come la motivazione delle crociate – in particolare della prima – sia stata soprattutto di carattere ideale e “reattivo” rispetto alla situazione che si era venuta a creare a seguito della espansione dell’Islam ( e dei successivi conflitti intra-islamici ). E’ d’altro canto altrettanto indubitabile che non si affrontano guerre se le condizioni economiche non lo consentono. E certamente il periodo delle crociate coincide con un tempo di espansione demografica ed economica dell’Occidente cristiano. Forse è corretto affermare che il termine da me usato di “legittima difesa” è improprio, mentre si dovrebbe parlare solo di “reazione”. Ed è altrettanto certo che non tutti i “crociati” siano stati motivati nello stesso modo – in particolare i veneziani le cui fortune erano tutte basate sul “commercio”.
E’ vero che islam e cristianesimo si pongono entrambe come “religioni universali” ,rivolte cioè a tutti (non così l’ebraismo) ma con una differenza così importante da non poter essere sottovalutata pena trarne delle conclusioni scorrette. Per l’Islam la Jihad è un dovere religioso e l’uso della forza è espressamente affermato nei testi sacri: i politeisti devono essere eliminati e “le genti del Libro” (cristiani ed ebrei) sottomessi. Per il cristianesimo il Messaggio va fatto conoscere a tutti e la conversione deve essere offerta e non imposta. L’uso della forza per ottenere la conversione non è contemplato , anche se, nel corso della storia non sempre è stato così.
La questione della evangelizzazione delle Americhe sotto gli spagnoli apre un altro capitolo che non possiamo certo esaurire qui in poche righe, ma la cristianizzazione del Sud America ha,a mio parere, poco in comune con l’islamizzazione ad esempio del Nord Africa e con le jihad periodicamente proclamate.
Io personalmente, ma credo con me anche gli altri componenti della redazione, saremo ben lieti di ospitare il suo secondo articolo per confrontarci su un argomento – quello della coesistenza – oggi piuttosto spinoso.
A presto risentirla!
Un cordiale saluto