STORIA: Risorgimento che divide

Tutti noi, di questa nostra generazione, a scuola abbiamo, a suo tempo – perché non so come vadano le cose oggi – studiato il “Risorgimento”.
Ci è stato presentato come una epopea gloriosa nella quale la nazione italiana, stimolata dai suoi figli migliori, si è risollevata dalla condizione di servitù per assurgere alla gloria della libertà.
Un movimento di popolo che ha conseguito un obiettivo a lungo atteso.

Questa lettura della nostra storia, presentataci quando ancora eravamo fanciulli, è stata interiorizzata e fa parte dell’inconscio collettivo. Solo in tempi relativamente  recenti il “mito” risorgimentale è stato messo in discussione. Numerosi studi sono apparsi per ridimensionare l’idea che il Risorgimento sia stato un “movimento di popolo” e riportarlo a quello che è stato realmente: il progetto di una élite che ha avuto successo grazie a una azione politica efficace che ha saputo sfruttare circostanze storiche favorevoli.
Una curiosità è rappresentata dal fatto che l’idea “risorgimentale” ha diviso al suo interno famiglie di spicco: fratelli e cugini si sono schierati apertamente nei campi opposti di favorevoli e contrari.

I d’Azeglio

Fratelli erano Massimo d’Azeglio e Luigi (Prospero) Taparelli. (Massimo è individuato con il predicato del titolo nobiliare come consuetudine all’epoca: il nome intero è Massimo Taparelli Marchese d’ Azeglio). Massimo, oltre a essere scrittore e pittore, fu Presidente del Consiglio del Regno Sabaudo, prima di Cavour e politicamente molto attivo, fu governatore dell’Emilia Romagna. Era massone, come Garibaldi e molti attori di primo piano del Risorgimento. Luigi Taparelli, il fratello, fu gesuita, co-fondatore della rivista “Civiltà Cattolica” (ancora oggi pubblicata), fiero avversario del liberalismo, difensore di Pio IX, in aperto e forte contrasto con Massimo soprattutto in occasione della promulgazione delle famigerate Leggi Siccardi.

I Pellico

Fratelli erano Silvio Pellico, da noi tutti conosciuto come l’autore de “Le mie prigioni”, e Francesco Pellico, anche lui Gesuita, inizialmente cappellano di corte del re di Sardegna Carlo Alberto, strenuo difensore dei diritti della Chiesa e costretto a fuggire dal Piemonte, quando era provinciale, in occasione della soppressione dell’Ordine dei Gesuiti decretata da Carlo Alberto.

Nino Bixio

Fratelli erano Nino, all’anagrafe Gerolamo, e Giuseppe Bixio. Nino è noto soprattutto per la sua partecipazione al fianco di Garibaldi nella spedizione dei Mille, ma fu presente in quasi tutti gli eventi bellici del tormentato secolo XIX (prima, seconda e terza guerra di Indipendenza, presa di Roma, fallita a Mentana nel 1867 con i garibaldini e riuscita nel 1870 con le truppe italiane).
Uomo di azione, di temperamento focoso, fu prima marinaio, poi generale, deputato e infine Senatore del Regno di Italia, commerciante; anche lui massone. Giuseppe, di lui minore, fu invece Gesuita. Missionario negli Stati Uniti  dove prese le parti degli indiani Nasi Forati contro le vessazioni dei bianchi. Partecipò come cappellano dell’esercito confederato alla Guerra di secessione Americana e fu tra i fondatori dell’Università Cattolica di San Francisco. Noto più per la sua contrapposizione al fratello che per sue proprie realizzazioni, ne condivise il carattere coraggioso e spericolato (poco noto è il fatto che numerosi sono stati gli italiani – in particolare veterani del disciolto esercito borbonico – a partecipare alla guerra di secessione americana dalla parte dei sudisti).

I Ricasoli

Cugini erano Bettino e Luigi Ricasoli. Bettino, soprannominato il Barone di Ferro,  fiorentino, fu Sindaco di Firenze al tempo del Granducato di Toscana, prodittatore della Toscana dopo l’allontanamento del Granduca al tempo della seconda guerra di indipendenza e infine primo Ministro del Regno di Italia, il secondo dopo Cavour. Fu il “padre” della centralizzazione dello stato unitario, ottenuta estendendo a tutta l’Italia l’organizzazione dello Stato sabaudo, con quella  divisione in Province e Comuni, sopravvissuta fino ai giorni nostri. Luigi fu invece, della Chiesa. Fu costretto al domicilio forzato dal governo provvisorio toscano che ne temeva la contrarietà al disegno di un’Italia unita sotto i Savoia  e visto con sospetto dai circoli massonici. Dopo la conquista di Roma si distinse per quanto riuscì a fare a favore dei suoi confratelli, particolarmente invisi ai nuovi occupanti, per la loro  posizione “papista”.

La presenza di queste divisioni familiari manifesta che,  se anche non “popolare” nel senso di “diffusa”, l’idea risorgimentale era certamente una idea “forte”. Solo le idee “forti” infatti hanno questa capacità di dividere.

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Carlotta Staderini
3 Gennaio 2017 20:17

Articolo molto divertente ed interessante. Non c’è dubbio che tutti questi fratellini, dalle idee così diverse, anzi spesso proprio opposte, erano tutti di gran temperamento e di vivace intelligenza!