ABBIAMO OSPITI/CURIOSITÀ – Cosa si nasconde nella parola auguri

Articolo di Gea Palumbo*, Autore Ospite de La Lampadina

Proviamo ad analizzare la parola che, in particolare in questi ultimi giorni, tra Natale e Capodanno, abbiamo pronunciato con più frequenza, con più intensità, con più speranza: AUGURI.
Anzi, quasi che non bastasse pronunciarla, la raddoppiamo: Auguri, auguri; la moltiplichiamo per il magico numero di mille: Mille auguri; tentiamo addirittura di declinarla all’infinito: Infiniti auguri. Ma cosa vogliamo in realtà dire con la nostra frase? A cosa aspiriamo ripetendo questa parola ad ogni incontro anche casuale per strada, o scrivendola ai nostri conoscenti, ai nostri parenti, ai genitori, ai figli lontani?
Ebbene, non c’è forse parola, nella nostra lingua, che racchiuda sentimenti più antichi, espressi con più partecipazione e apprensione di questa parola che ha conservato per noi il suo significato più antico. Ma qual era poi questo significato?
La parola “auguri” deriva propriamente da quella che designava i sacerdoti romani (detti Áuguri con l’accento ritratto), designati ad interpretare il volo degli uccelli (se arrivavano da destra o da sinistra in quella parte del cielo – il Templum – che questi sacerdoti indicavano con il loro bastone, il Lituo), cosa indicava il loro canto, che significavano i segni del cielo come il tuono o il lampo e così via. Anche gli Áuguriche si presentavano vestiti di rosso, il colore più sacro e più costoso, furono moltiplicati, come i nostri auguri, e da tre arrivarono fino a quindici e oltre e se all’inizio potevano essere solo patrizi, alla fine, con un processo di democratizzazione assai precoce, furono pure plebei.
Che questi Áuguri fossero più propriamente designati ad interpretare il canto degli uccelli (ab aviumgarritum) o il loro volo (ab avibusinspiciendis), i loro auspici erano importantissimi: potevano fermare una guerra o auspicare (è proprio il caso di dirlo) una pace, e se il loro campo era più specificamente volto a confermare o meno il favore degli dei per un’impresa già in atto, essi potevano estendere, la loro interpretazione anche al futuro. Nulla poteva fermare più che una favorevole interpretazione, il dolore del dubbio o l’angoscia del futuro.
Ma forse la cosa più importante è che questa parola auguri, collegata alla radice del verbo augeo (aumentare), ha conservato intatto soprattutto questo antico significato di abbondanza, ricchezza, accrescimento: la parola, infatti, da esso derivata “Augustus”, indicava qualcosa o qualche persona accresciuta, aumentata; riguardo ad un individuo era l’“Augusto”, per i Romani antichi, tanto “accresciuto negli onori”.
Dunque, proprio come il potere degli antichi Áuguri, anche quello dei nostri auguri, unendo in sé il cielo e la terra, il passato e il futuro, il dominio del tempo e dello spazio, gli auguri di abbondanza e accrescimento, ben esprime quel desiderio dell’animo umano che, almeno nel campo astratto dei segni, ci unisce tra noi e che vorremmo ci unisse per sempre, in-augurando ogni nuovo anno.

*docente di Storia e Iconografia Università “Roma Tre”
Gea Palumbo è membro della Redazione del sito www.vinosano.com sul quale questo articolo è stato pubblicato per la prima volta.

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