ABBIAMO OSPITI/ROMA – La fontana delle api

Articolo di Nicoletta Fattorosi Barnaba, Autore Ospite de La Lampadina

In questo quadro, dove in primo piano c’è la fontana, si intravede piazza Barberini, e sul fondo c’è un portone, l’entrata a Palazzo Barberini, detto dai romani il Portonaccio, opera di Pietro da Cortona. Anche questo sacrificato nel 1932 per l’apertura di via Regina Elena, che dal 1946 è conosciuta come via Barberini.

In questo spazio “romano” mi piace soffermarmi su una piccola fontana che si trova su via Veneto, angolo piazza Barberini, parlo della fontana delle api, voluta fortemente da papa Urbano VIII che chiede al Bernini di costruirla “acciò servisse ai bisogni del popolo e ad ornamento della città”.
Il pontefice dopo aver commissionato la fontana del Tritone pensa all’utilità del suo popolo e il Bernini realizza questo desiderio con un’opera di rara bellezza che asseconda il bisogno del popolo; oggi la nostra utilità è rappresentata dalle fontanelle conosciute con il nome di nasoni che hanno acquisito nel tempo un certo non so che di fascino e tipicità.
Torniamo al XVII secolo quando il Bernini accetta la commissione del papa, dopo aver costruito la Fontana del Tritone, il cui bottino si trovava nel pianterreno del palazzo all’angolo tra via Sistina e piazza Barberini. Da quel bottino fa uscir fuori l’acqua per questa fontana delle api che non si trovava, dunque, dove oggi noi la vediamo.
L’utilità di avere acqua disponibile per dissetarsi è pensata per il popolo, ma serve anche per gli animali; sappiamo infatti che quasi tutte le grandi piazze di Roma avevano un fontanile per i numerosi animali presenti in città, come i cavalli che trainavano carretti e carrozze, le bufale portate ai macelli, le capre che pascolavano nei numerosi spazi verdi. Qui a piazza Barberini sostavano molti animali, perché era un po’ uno spiazzo che condivideva la bellezza della città con la pace della campagna, caratteristica che allora si poteva trovare in quasi tutti gli angoli di Roma.
La villa Ludovisi confinava con la villa Barberini, in primavera gli effluvi delle piante da frutto, come mandorli e peschi di entrambe le ville, riempivano l’aria, anche se a volte si mischiavano sgradevolmente all’odore delle capre stanzianti attorno alla fontana. Sappiamo da alcuni diaristi che un altro effluvio meno agreste aleggiava nell’aria di questa piazza in determinate ore del giorno, quello di una famosa friggitoria, la Janni, che allettava i suoi clienti, quasi tutti artisti che vivevano negli atelier vicini alla piazza; questi a una certa ora scendevano richiamati proprio dai profumi dei fiori di zucca, dei filetti di baccalà, dei pescetti fritti, piatti semplici ed economici che erano apprezzati da molti!
Non dimentichiamo che a giugno questa era una delle piazze in cui si celebrava la festa delle fragole, portate in città dai colli romani su carretti che seguivano quello più importante su cui emergeva la statua di Sant’Antonio, accompagnato dal canto del popolo che intonava: Salutamo cor fischietto, Sant’Antonio benedetto, trullallero trullallà, tutti quanti a sfravola’.
Torniamo al Bernini che realizza il desiderio del pontefice e costruisce questa fontana immaginando una conchiglia bivalve in cui pone tre api, animale araldico dei Barberini; dalla valva sistemata sul palazzo all’angolo di via Sistina scaturisce l’acqua che scende nella valva sottostante che fa da catino. Quando i romani vedono questa opera la battezzano subito fontana delle mosche! In effetti i Barberini erano originari di Barberino Colle val d’Elsa e si chiamavano Tafani, il loro stemma presentava proprio tafani che con l’ascesa della fortuna e importanza della famiglia furono cambiati in api, simbolo dell’intelligenza e della operosità e il nome divenne Barberini, per celebrare il loro luogo d’origine.
La fontana di cui sopra, nel 1887, quando il traffico si era fatto più intenso, impediva alle carrozze di girare facilmente su via Sistina, perciò viene spostata … nei magazzini comunali e solo nel 1915 è ricostruita, sottolineo ricostruita e non risistemata, perché molti pezzi, nel frattempo, erano andati perduti. Di originale abbiamo soltanto l’ape centrale e la parte della valva su cui si appoggia; la ricostruzione è stata possibile grazie alle foto e ai disegni della fontana stessa eseguiti dal Bernini.
Urbano VIII Barberini è stato un Papa grandissimo dal punto di vista storico ed è stato anche un grande mecenate. Come sempre i suoi contemporanei lo giudicarono anche dal punto di vista umano, fu criticato molto perché nepotista, tanto da far dire a Pasquino: “Urbano ottavo celebre / sarà fra gli altri papi:/ che pascé male il gregge, / ma nutrì ben le api”. È un ricordo un po’ duro questo, ma la storia non fa sconti a nessuno.

Oggi noi vediamo questa fontana sistemata su via Veneto, vicino alla chiesa dell’Immacolata dei Cappuccini, costruita, tra il 1626 e il 1631, per volere del cardinal Francesco Barberini, fratello del papa; il posto scelto è quello dove si innalzava la croce messa dai frati all’inizio di via dell’Olmata, il cui toponimo ci ricorda il viale di olmi, tanto cari ai romani. Olmi spazzati via nel 1887 per far spazio proprio a via Veneto, durante i lavori della costruzione del quartiere Ludovisi, che causò l’infausta distruzione di una delle più belle ville di Roma: villa Ludovisi.

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3 Commenti
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17 Novembre 2020 16:26

Molto interessante, una vera “chicca”, l’articolo sulle origini della famiglia Barberini, del loro nome e delle vicende logistiche della fontana delle api.

Angela Vicentini
13 Novembre 2020 6:20

Sono passata tante volte davanti alla fontana delle api. Ci sono ripassata ieri e questa volta mi sono fermata e l’ho “guardata” con particolare attenzione. Grazie

Lucilla Scelba
11 Novembre 2020 15:21

Veramente un articolo molto interessante e ricco di particolari per me inediti.
Congratulazioni e al prossimo numero.