COSTUME – Facce appese: il lavoro a distanza e il ritorno in presenza

Facce appese alla spiaggia. Facce appese in campagna e in montagna.
Che succede?
Ah già! Siamo alla fine di agosto. Per molti, la fine del mese segna un inesorabile ritorno al lavoro. Fra poco tempo anche a scuola. Ma, musi lunghi?
Non siamo gli stessi che un anno fa si dicevano disperati “Speriamo che almeno il lavoro riprenda! e, possibilmente, non a distanza!”.
Lo dicevamo per lo più lavorando in casa con enormi difficoltà a tenere i bambini lontani dalla scrivania (non dico stanza perché in pochi avevano una stanza in cui potersi barricare per lavorare) cercando di mettere un po’ di ordine fra maglie, giochi e vasellame, che non apparisse nella video chiamata con il capo.
Trovare una camicia stirata con cui farsi vedere era una impresa quasi impossibile. Fra cane e bambini il caos. Mentre si cercava di avere un serio colloquio con il Direttore del Personale sulle prospettive future della azienda, passavano veloci sullo schermo bambini nudi inseguiti dalla moglie che brandiva urlante i vestiti e dal cane (che non doveva essere vestito ma agiva come se volesse, anche lui, sfuggire alla vestizione).
La tensione per voler sembrare una postazione di lavoro tranquilla e ordinata e razionale lasciava esausti alla fine del colloquio. Poi ci si precipitava in cucina urlando alla regina della casa “Ma non li potevi tenere calmi almeno per un po’?
Altro che colloquio sulle prospettive future La prospettiva è il mio licenziamento!”
La risposta era lapidaria: “Occupatene un po’ tu. Io sono esausta”.
Seguiva uno sbattimento di porta ed un girare della chiave sulla toppa. Bambini e cane interdetti. La faccia rivolta al capo famiglia “Come la metti?” era scritta sia nelle facce dei bambini che sul muso del cane.
Un anno fa, alla chiusura degli uffici in presenza, la coppia aveva stabilita serenamente una strategia: “Ma certo, faremo un po’ per uno. Quando tu avrai da lavorare li terrò io. Li farò giocare, ma tranquilli, che non ti disturbino, e altrettanto farai tu quando sarà il mio turno”.
È durato poco. Le carte lasciate in ordine alla postazione, pronte per lunghe riflessioni il giorno dopo, giacciono sparse per la casa. Alcuni fogli arricchiti da pupazzetti con pennarelli neri, altri mangiati dal cane, altri irriconoscibili per essere soffocati dalla minestra (ma che ci facevano vicino alla minestra? Inutile domandarselo… lì stavano!).
I primi giorni il lavoro da casa… una felicità. Poter lavorare a qualsiasi ora per il tempo che si voleva. Poi trasformato in un lavorare a tutte le ore possibili festivi compresi. Il fatto che si sapeva che comunque a casa eravamo, autorizzava a chiamate la domenica e la sera tardi. Il blink dell’arrivo di messaggi non aveva sosta. E come non andare a controllare? Potevano essere gli anziani genitori o la figlia grande lontana che voleva notizie o aveva un groppo di nostalgia.
Si rispondeva.
Ed era un “Buona sera dr. Rossetti, mi scuso per l’orario ma, tanto siamo tutti al palo… la volevo aggiornare”. Al palo sì, ma eravamo con una birra fredda a guardare una partita dagli spalti vuoti con i piedi sul tavolino e cane e bambini addormentati sul divano. Ora sono di nuovo tutti svegli. La regina della casa, uscita dopo ore dal suo volontario esilio, dorme esausta sull’altra poltrona. Se si sveglia sono guai. Gli altri membri umani e canini hanno ora gli occhi spalancati. Un momento di suspence… si abbracciano a vicenda e richiudono gli occhi.  “È andata!”
Se questo quadro non vi appartiene affatto avete ragione ad avere i musi lunghi nel pensare di dover tornare al lavoro e… in presenza.
Se invece questo vi riporta alla mente un qualcosa di già vissuto… allora afferrate, quale che sia, la vostra divisa da lavoro, e cominciate a fischiettare felici e sorridenti uscendo dalla porta di casa.

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