“Requiem” di Anna Achmatova

È venuto di nuovo l’ora del ricordo.
Vi vedo, vi ascolto, vi sento:

quella che hanno dovuto spingere fino allo sportello,

quella che veniva da un altro paese,

E colei che, scuotendo il bel capo,

Disse: “Qui vengo, come a casa”.

Avrei voluto chiamare tutte per nome,

Ma hanno portato via l’elenco, e non so come fare.

Per loro ho intessuto un’ampia coltre

Di povere parole, che ho inteso da loro.

Di loro mi rammento sempre e in ogni dove,

Di loro neppure in una nuova disgrazia mi scorderò.

Se mi tapperanno la bocca, la mia bocca con cui grida un popolo di cento milioni,

voi ricordatevi di me

Che esse mi commemorino allo stesso modo

Alla vigilia del mio giorno di suffragio.

e se invece un giorno mi faranno un monumento

Acconsento ad esser celebrata,

ma solo a condizione di non porlo vicino al mare dove sono nata

Né accanto al mare dov’io nacqui:

Col mare l’ultimo legame è reciso.

Ne’ del giardino dello zar presso il desiato ceppo,

dove l’ombra sconsolata mi cerca,

fatemelo qui il monumento dove sono stata in piedi 300 ore

e dove non mi aprirono il chiavistello.

Perché anche nella beata morte temo

Di dimenticare lo strepito delle nere “marusi”,

Di dimenticare come sbatteva l’odiosa porta

E una vecchia ululava da bestia ferita.

E che dalle immobili palpebre di bronzo

Come lagrime fluisca la neve disciolta.

E il colombo del carcere che tubi di lontano,

E placide per la Neva vadano le navi.

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