Articolo di Giovanni Zezza, Autore Ospite de La Lampadina
Siamo felici di ospitare un articolo di Giovanni Zezza, figlio del nostro carissimo Beppe Zezza, penna storica della Lampadina, che ci ha lasciato a maggio 2025.
Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Giovanni “WhatTheZez”
La Redazione
A fine marzo, ho scritto questo pezzo in una versione estesa per la newsletter. Papà lo aveva amato molto. Mi aveva chiesto di condividerlo con i lettori de La Lampadina.
Lo faccio oggi, anche per lui. Ciao papà.
Circa tre anni fa ho iniziato a lavorare in Too Good To Go, un brand che ha la sostenibilità al centro di tutto.
Una delle ragioni che mi ci hanno portato era molto semplice: sapevo di non sapere.
Da bravo early millennial conoscevo il buco dell’ozono, gli orsi polari sulle lastre e la plastica nel mare.
Da marketer, invece, la mia esperienza era limitata a discutere di packaging riciclato. Fine.
Ma ho capito subito una cosa: la sostenibilità, come i diritti sociali, non è una promo sui detersivi.
È una questione che intreccia commercio, etica e futuro. Richiede profondità, impegno e autenticità.
1️⃣ AL CONSUMATORE LA SOSTENIBILITÀ INTERESSA (MA NON QUANTO UNO SCONTO)
Il cambiamento climatico è la principale preoccupazione per gli italiani (Censis 2024), più di guerra e crisi economica.
Eppure, nei comportamenti quotidiani, siamo ancora fermi al classico “da lunedì dieta” detto ordinando la terza pizza della settimana.
Un amico una volta mi ha detto:
«Alla gente piace sentirsi sostenibile, non esserlo.»
I motivi?
- Il costo: i prodotti sostenibili costano di più. Una t-shirt etica come tre cene da Cracco? Ciao etica.
- La complessità: parole come “green” e “sostenibile” spesso non vengono capite.
- La fatica: cambiare abitudini richiede energia, e siamo tutti esausti.
- La distanza: il problema sembra troppo lontano. Tipo «ci penseranno i governi» (spoiler: anche no).
La sostenibilità oggi è più un feel good factor che un vero driver d’acquisto.
Ma per i brand è un’enorme opportunità: educare, ispirare, trasformare quel “sentirsi bene” in scelte concrete.
2️⃣ CAMBIARE È COME METTERE JEANS BAGNATI
Negli anni ho capito che c’è una differenza tra sostenibilità passiva e attiva.
Quella passiva è quella che non ti chiede troppo: compri un’auto elettrica ma poi la usi come quella normale, anche per andare a comprare le sigarette dietro l’angolo. L’impatto che generi è molto limitato.
Quella attiva è quando modifichi davvero il tuo comportamento.
Tipo portarti la borraccia sempre con te (non solo comprarla), pianificare i pasti della settimana per evitare sprechi o chiederti «mi serve davvero?» anche quando quel maglione ti fa l’occhiolino in vetrina.
Ed è qui che i brand possono fare la differenza: rendere la sostenibilità attiva più facile e meno faticosa.
3️⃣ ESSERE AUTENTICI NON È UN OPTIONAL
Parlare di sostenibilità è delicato. Non tutti i brand possono farlo allo stesso modo, ma tutti devono farlo con coerenza.
Ci sono brand che hanno la sostenibilità nel DNA, come Too Good To Go, Wallapop, Vinted.
E poi ci sono quelli che, come Eni, lanciano linee green con tappeto rosso, ma continuano a prosperare grazie ai combustibili fossili.
È come se io mi vantassi di fare la raccolta differenziata… mentre butto mozziconi per strada.
Se comunichi qualcosa che non fai davvero, prima o poi ti sgamano. E il contraccolpo fa male al brand.
4️⃣ NON È LA DIETA DI GENNAIO
Comunicare la sostenibilità non è fare uno spot con le balene, la musica commovente e l’albero da abbracciare.
È dimostrare che ci credi.
Barilla ha fatto cose serie sullo spreco alimentare, ma quando ha tolto la finestrella di plastica dai pack l’ha raccontato in uno spot come se fosse una rivoluzione.
Meglio agire in silenzio che fare storytelling su un atto dovuto.
È così che ha fatto IKEA: ha trasformato l’“Angolo delle Occasioni” in “Angolo della Circolarità” e lo ha comunicato in modo sobrio, con un modello concreto di ritiro, riparazione e rivendita.
Non serve la perfezione. Ma la trasparenza sì.
È un valore etico e, al contempo, un asset strategico.
ABBIAMO IL POTERE DI CAMBIARE LE COSE (ANCHE LE AZIENDE PIÙ TRADIZIONALI)
Non serve essere attivisti. Io, ad esempio, non lo sono.
E l’unica volta che ho abbracciato un albero è stata per non inciampare.
Non dobbiamo nemmeno salvare il mondo, ma chi fa marketing ha un potere enorme: influenzare comportamenti, desideri, priorità.
Ogni giorno. Non è un potere neutro.
È una responsabilità.
Si tratta di accompagnare chi ci segue verso scelte migliori. Un passo alla volta.
Forse non farà notizia.
Ma farà la differenza.
Per approfondire
- Pezzo completo, con esempi di campagne
- Rapporto Censis 2024
- Ricerca UK
- Fondazione Barilla
- Barilla
- Ikea